Per voi, un piccolo estratto del primo volume di Storia di Geshwa Olers. Ovvero, quando Geshwa e suo padre attraversano il Ponte di Makut. Visto il tempo non proprio primaverile, è un brano più che adatto. Buona lettura. Vi ricordo che se volete acquistarlo, potete farlo qui (dove potrete anche leggerlo gratuitamente con kindle unlimited): https://www.amazon.it/viaggio-nel-Masso-Verde-versione-ebook/dp/B00HNVXIQC/ref=pd_rhf_gw_p_img_1?ie=UTF8&refRID=M0839F99GNHJKEMB1YVC
Dal terzo capitolo:
Sbucando dalla protezione degli alberi, Geshwa comprese in un attimo come mai quel ponte avesse ispirato simili storie. Un blocco massiccio di pietra grigia, possente e liscio, congiungeva i due lati della gola attraversata da un torrente, di cui si udiva il rumore fragoroso. La luce residua del sole si stendeva su punte rocciose e manto boscoso con una tinta malinconica che sapeva di stagioni passate. L’acqua fluiva come la colata d’argento fuso di un cesellatore. Ai bordi del ponte, pali di legno sostenevano una catena per la lunghezza di tutto l’attraversamento. A sinistra c’era la rientranza del fronte montuoso, nella quale si moltiplicavano buche, radici e grotte. Di certo quella costruzione, fosse naturale o no, dava proprio l’impressione di essere stata creata con un aiuto sovrumano.
“È bellissimo” esclamò Geshwa. Non si fermarono e mentre si accingevano a oltrepassarlo, si chiedeva se la sua Presenza sarebbe stata rapita dal Figlio della Disperazione.
Alla sua destra si apriva un’ampia vallata, nella quale si diffondevano sempre più le brume del tardo meriggio, espandendosi sul vasto mantello sottostante della grande foresta. Le aquile si libravano nell’aria nascondendosi a tratti tra nubi bianche e scure. La natura selvaggia del posto rendeva subito l’idea di ciò che i primi abitanti dell’antico Impero potevano aver visto non appena giunti dal Regno perduto di Unalion.
Quando i muli misero zoccolo sulla pietra della campata, Geshwa guardò a sinistra della volta del ponte, sulla parte bassa della parete montuosa, dove si trovava una caverna ampia e molto buia. Sembrava profonda e alla mente di Geshwa trasudava umido e freddo, infondendo apprensione.
I due muli ragliarono e si fermarono a guardare lo strapiombo sotto di loro, forse spaventati.
“Forza somarello!” sollecitò Sitòr. Gli animali si mossero di poco, riprendendo il cammino per giungere dall’altra parte.
Quando furono nel bel mezzo del ponte, lo sguardo di Geshwa, che aveva ancora sul volto l’ammirazione per la grandiosità del paesaggio, tornò a posarsi sulla caverna. Non capì se si trattava dello scherzo dei suoi occhi o dell’abbaglio temporaneo provocato da un morente raggio di sole, ma fu sicuro di scorgere un luccichio. Il mulo proseguì. Poi però Ges lo rivide e il suo timore divenne manifesto. “Papà, mi sembra che ci sia qualcosa. Dentro la caverna”.
Il mulo parve averlo sentito e si fermò di colpo, prendendo a ragliare con occhi sbarrati. Vedendo che l’animale non aveva intenzione di proseguire, riempiendo di versi echeggianti la vallata, Sitòr scese dalla groppa del suo e cercò di tirare entrambi, afferrandoli per le briglie. “Deciditi, stupida bestia, se non vuoi che ti lasci qui o ti butti giù!”
Il mulo pareva preoccupato più da altro. Sitòr tirò fuori dalla bisaccia una grossa carota, che l’animale disdegnò con un raglio scorbutico. La sua cavalcatura, invece, appariva più tranquilla e si mosse placida per proseguire.
“Guarda il tuo compare” disse Sitòr rivolgendosi al ciuco di Geshwa, “e impara da lui”.
Geshwa continuava a intravedere strani sfarfallii luminosi lungo la parete della grotta. “Ti dico che lì dentro c’è qualcosa, papà” ripeté. Ne provò un fascino spaventato. Sembrava che le rocce fossero ricoperte di diamanti.