La pandemia di Covid sta mettendo a nudo i nervi scoperti già da tempo di una società sempre più stressata. Il mondo di oggi, pare dire, ha bisogno di calmarsi e di iniziare a prendere sul serio alcune cose.
Dopo una prima fase, in cui prefiche di molteplice estrazione (ma per lo più pseudo-ambientaliste e pseudo-religiose) hanno pianto sciagure, frutto di un immaginario tutto apocalittico e/o psicopatico – e non starò qui a elencarne le tipologie -, si è finalmente iniziato a vedere con maggior chiarezza cosa questo periodo di emergenza abbia messo in risalto. E tra le righe, è possibile leggere alcuni suggerimenti che (vogliamo chiamarlo il mondo, l’universo, Dio? Oppure, per accontentare tutti) gli eventi sembrano suggerire. Ecco quelli che ho colto io.
Le relazioni: il grande malato. È ormai sotto gli occhi di tutti, come ogni soluzione pensata per proteggersi da questo virus, in attesa dal vaccino (che, per quanto ne sappiamo, potrebbe anche non arrivare mai), sia fondata sul distanziamento fisico. Un lapsus del linguaggio giornalistico e non, ha messo in luce, per lo meno in Italia, il nemico numero uno del nostro modo di essere società, ovverosia la società stessa. Il distanziamento era chiamato – e lo è tuttora, in certi casi – distanziamento “sociale”. Una cosa è certa: se fino a quaranta o a cinquant’anni fa non si sarebbe mai pensato a una serie di misure protettive basate sulla distanza tra persona e persona (e non mi si venga a dire che alla distanza fisica supplisce la tecnologia digitale, o un nuovo modo di rapportarsi, cioè meno abbracci, meno baci e meno strette di mano, perché non è così: l’Essere Umano è fisico e tatto), oggi la miglior norma è quella di tenere le persone lontane tra di loro, perfino in famiglia, dove è più frequente il contagio. L’alternativa? No, non è lasciar ammalare le persone, ma rendere più efficaci le contromisure, per esempio destinando molti più soldi alla sanità e molti più fondi al tracciamento, che invece è risultato ancora una volta ben al di sotto del limite minimo. Ciò che il Covid dimostra è che per la nostra società è più importante l’aspetto economico di quello relazionale, a dispetto di ciò che ci si voglia far credere. Relazioni grande punto di fragilità, perciò.
L’attenzione alle fragilità: segno di civiltà. La fragilità è, per l’appunto, il segno dell’umanità che ci accomuna tra sette miliardi e mezzo di persone nel mondo. Ma è anche ciò su cui si dimostra la capacità di tenuta di una democrazia, che ha come scudetto di cui gloriarsi di fronte al mondo delle differenti dinamiche di potere proprio l’attenzione verso le minoranze. Una minoranza che ha bisogno di essere protetta e spalleggiata nei confronti della moltitudine è una fragilità sociale (ma anche un dato “naturale”), e una società è tanto più civile, quanto più è in grado di farsi carico, materiale e simbolico, di quella fragilità/minoranza. Sappiamo tutti come il Covid tenda a minacciare soprattutto i più deboli (no, non ogni epidemia o pandemia fa così, perché la peste – tanto per fare un esempio – non sorprendeva solo i più deboli o i più malati); inoltre, abbiamo ancora davanti agli occhi le scene dei carri militari che trasportavano le casse dei morti dalle città del nord Italia, e come buona parte di esse derivassero dalle RSA e dagli Ospedali, strutture destinate alla cura del più fragile, l’anziano/vecchio e il malato. La tremenda falla che ha caratterizzato un po’ tutti i paesi del mondo resta scolpita nella memoria di tutti, a ricordare quanto poco importanti consideriamo ancora queste fragilità della condizione umana.
Il rapporto con il Divino: prova del nove per l’Umano. Uno degli aspetti che più mi ha dato fastidio di questa pandemia, aspetto che purtroppo ho visto emergere anche in altre situazioni, è il ricorso fuori misura e fuori sensatezza al Divino, come a un’ancora che poteva evitare la malattia. Ora, ricorrere a Dio (o a qualsivoglia entità in cui si creda) nei momenti di debolezza è quanto di più umano. Ma una fede matura non ha bisogno di Dio, questa è la verità. “Prego Dio perché mi liberi da Dio”, diceva Meister Eckhart. Un Dio, un Divino che viene utilizzato come panacea per la paura, come formula magica per risolvere un problema, come garanzia per il futuro nel caso in cui il presente prenda una piega che non ci piace, ebbene, è un Divino molto, troppo umano. Il Covid ha mostrato, a chi voglia vedere, come rivolgersi a un Divino che è insieme conosciuto e sconosciuto. Lo si chiama Padre – come ha indicato Gesù, anzi “abbà”, papino – perché altrimenti non lo si potrebbe chiamare, tanto è Totalmente Altro. Al contempo, lo si chiama Padre, perché ci genera dall’interno: il Divino genera noi in quanto Figli, e non dobbiamo mai dimenticare che anche noi, in quanto Figli (ma anche un po’ in quanto Madri), generiamo il Padre. La fede matura, adulta, è quella che ci permette di vedere il Divino dentro di noi perché il Divino siamo noi. D’altronde, il Figlio si è incarnato, e incarnandosi, ha umanizzato nel tempo il Divino.
Il rapporto con la scienza: senso di realtà e quant’altro. Altra nota dolente messa in luce dalla pandemia, il senso di realtà delle persone. Quanti complottisti, quanti negazionisti, quanti “naturalisti”, tutti pronti con la soluzione in tasca per spiegare come vada il Potere, come vada la Verità, come vada la “Salute” secondo i loro punti di vista, ciascuno ogni volta quello giusto. L’incapacità di accogliere una tragedia di livello mondiale spinge le persone a non vedere le cose come stanno; l’emozione prevalente – che può essere di volta in volta la paura oppure la tristezza/solitudine oppure la rabbia – impedisce a moltissima gente di avere un giudizio equilibrato, e anziché fare appello alla parte migliore, talentuosa, del proprio essere, che è sempre presente, questa gente si riduce a conformarsi a punti di vista pre-pagati e pre-parati, come delle carte di credito ricaricabili. Unico problema: la ricarica viene pagata dalla stupidità generale o, peggio ancora, da veri gruppi di potere, che così possono ottenere benefici (per esempio in termini di voto, si vedano alcuni partiti politici). Almeno in teoria, la nostra evoluta società occidentale, la società che ha sviluppato la Scienza e il metodo scientifico, dovrebbe aver sconfitto il senso comune a favore del senso scientifico delle cose, ma così non è, c’è ancora molto lavoro da fare. Eppure, solo un senso ben sviluppato, critico, della realtà potrà favorire il diffondersi di un ben sviluppato, maturo, senso di fede nelle persone. Può sembrare paradossale, ma una buona logica scientifica, dotata di tutti i crismi della capacità critica, è il braccio destro di una buona fede nel Divino, dotata di tutti i crismi della responsabilità.
Il rapporto con l’ambiente: frutto dell’equilibrio. L’ambiente, il grande sconfitto, si potrebbe dire ancora una volta. A far risaltare una volta di più questo grande tema, che prima della pandemia stava vedendo un momento di esaltazione legato a Greta Thunberg e ai Fridays for Future, sono state le settimane di lockdown: quanto sono state belle quelle immagini di un mondo naturale che sembrava riprendersi i suoi spazi, ora che – come dicono alcuni – il virus “umano” se ne stava rinchiuso nelle sue case. Eppure, non esiste natura senza essere umano: potremmo perfino dire che l’Essere Umano è Natura tanto quanto la Natura è l’Essere Umano. Vedere l’Umano come il virus che devasta il Mondo, il quale potrebbe anche farne a meno, è non vedere che il problema ambientale per eccellenza e definizione consiste proprio nella contrapposizione tra Umano e Natura. L’idea dell’Umano/Virus contrapposta all’idea del Mondo/Natura è sbagliata fin dalla radice. Piuttosto, si tratta di riappropriarsi di un’idea unificata di Umano e di Natura, che sono in reciproco legame e in reciproca dipendenza perché sono la stessa cosa. Per poterlo fare, però, è necessario tornare a una visione equilibrata della realtà, nella quale l’Umano si riscopra Natura e, insieme, si riscopra Divino, per potersi rapportare in maniera ugualmente equilibrata al Divino che è nel Mondo e al Divino che è in noi.
Solo così potremo ricordarci che anche la Scienza ha da dirci qualcosa di fondamentale per tornare a curare un’umanità ancora fragile e malata, e rimettere al primo posto le relazioni.
Una risposta a "Il Covid parla filosofese"