La fede e la ragione dell’Assoluto

In un recente post sul suo blog, il gesuita Paolo Gamberini affronta la sempre delicata tematica del rapporto tra fede e ragione. Mi piace offrire a mia volta il punto di vista della filosofia mistica della conoscenza, prendendo spunto dalle sue interessante posizioni.

Gamberini parte da una tesi, che è la seguente: Fede e Ragione non sono “due” facoltà dell’uomo credente. C’è solo la ragione (logos) divina. La ragione “umana” è la prospettiva del finito che comprende “nel finito” se stesso e l’infinito, determinandolo. La fede è la partecipazione della ragione “umana” alla ragione “divina”, essendo compresa dall’infinito. Nella fede la ragione umana si comprende “nell’/dall’” infinito, con tutti i suoi oggetti: il creato e l’increato.

Perciò:

  • c’è solo la ragione divina, e quella che chiamiamo ragione “umana” è il modo finito che l’essere umano ha di cogliere se stesso e l’infinito, e nel compiere tale operazione, la ragione umana deve determinare la portata dell’infinito;
  • inoltre, la ragione umana partecipa all’infinito della ragione divina, comprendendosi come nell’infinito e dall’infinito con tutte le proprie derivazioni logiche (terminologia mia), cioè ciò che è “creato” e ciò che è “increato”, e questa partecipazione si chiama “fede”.

Tuttavia, dice Gamberini, ci sono due modi di considerare tale rapporto tra fede e ragione. Uno estrinseco, per il quale la ragione appartiene all’uomo, mentre la fede proviene da Dio. Ma – dice lui – sia fede che ragione provengono in realtà da Dio, sono suoi doni, e pensare che esista da una parte la fede e dall’altra la ragione è solo un modo di accostare due realtà che, però, sono una. Infatti, vi è anche un modo intrinseco di considerare il rapporto tra fede e ragione: punto di partenza di questa modalità, è che il Logos, la ragione divina, è la ragione dell’Assoluto, e da questa ragione dell’Assoluto deriva…

…la fede dell’uomo. La fede dell’uomo è perciò grazia divina, tramite la quale il credente è assimilato alla vita divina, che è il suo Logos.

Fin qui, mi ritrovo nelle posizioni espresse. Personalmente non parlerei di credente, perché la credenza è qualcosa di estrinseco rispetto alla fede, che è invece, per l'appunto, qualcosa di intrinseco, ma parlerei di "fedele" o "affidato" alla grazia divina, che è quella che ci permette di aprirci alla vita dell'Assoluto.

Dal momento, però, che la ragione è la facoltà del riconoscimento della realtà, la ragione umana ha dei contenuti propri, che sono la determinazione del reale, e la fede della persona segue questi contenuti. La realtà è sia ente (perciò realtà determinata) che ni-ente (perciò realtà indeterminata), e Gamberini spiega che il ni-ente è l’Essere. Inoltre, afferma che l’Essere è lo sfondo su cui appaiono gli enti. La funzione della fede, in questo caso, è quella di cogliere l’in-determinatezza implicita negli enti, ricollocandoli nell’alveo dell’Essere, dell’Assoluto.

Tuttavia, ci dice infine, l’Assoluto può essere considerato in due modi: in modo soggettivo, per cui l’Assoluto è la sua ragione, e in modo oggettivo, per cui la ragione umana può pensare all’Assoluto e determinarlo tramite concetti, immagini e simboli. Nel modo oggettivo, l’Assoluto diventa un ente determinato dalla ragione umana nel tentativo di comprendere l’Assoluto soggettivo.

Questo è ciò che nella filosofia mistica della conoscenza ho chiamato l’infinitesimalità dell’Essere, per cui l’Essere è sempre presente, ma può essere colto dall’esistenziale solo attraverso le elaborazioni schematiche di immagini della Coscienza, a partire dalla percezione della cosalità puntiforme del Divino che avviene nella fase pre-coscienziale, quella che ho chiamato autocoscienza.

Infine, sostiene che il vero speculativo sia colui che viene assimilato alla forma divina, divinizzazione della ragione umana a quella divina.

Tutto vero. Sento però il bisogno di fare alcuni distinguo o, se volete, precisazioni.

  • La fede è davvero fondamentale affinché accada questa divinizzazione della ragione umana. Tuttavia, la fede è vero e proprio affidamento e la ragione umana potrà compiere il percorso verso il Divino solo nella misura in cui sarà capace di portare tutto se stesso verso il Divino, non solo una parte. Tanto meno, solo la ragione, alla maniera degli antichi. La divinizzazione non è un lavoro della ragione umana, o non solo: è un’azione ricevuta gratuitamente (grazia) che domanda “solo” di essere accolta. E perché possa essere accolta, non è necessario riconoscersi in una religione piuttosto che in un’altra, perché la vita stessa vissuta nell’apertura al Tutto può condurre verso la riunificazione.
  • L’Essere non può essere considerato in alcun modo ni-ente. Se è vero che l’ente è l’esistenziale (l’essere umano) che si determina sulla base della propria ragione (che nella filosofia mistica della conoscenza chiamo Coscienza), il ni-ente è un prodotto fasullo della ragione umana, convinzione che ciò che esiste (ente) possa anche non esistere. Il che è vero solo se si chiarisce quale sia la differenza tra Essere ed esistente: esistente è ciò che si trova “di fronte all’Essere”, ciò che si è determinato differenziandosi dall’Essere, motivo per cui – per esempio – un essere umano che muore sembra-appare non essere più perché esce dall’esistenza, ma in realtà continua a Essere. Il ni-ente è un prodotto erroneo, un convincimento, potremmo dire, della ragione umana che non riesce a rendere ragione dell’infinitesimalità dell’Essere.


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