Scrivere è fatica, non possiamo mentire. A tutti quelli che dicono che scrivere è un modo per sfogarsi, io dico: “sì, ma suggerisco di andare a correre. Ci si sfoga molto di più”. Scrivere è fatica, già di per sé, ma se la scrittura è anche ricerca, la fatica triplica.
Fino ad alcuni anni fa ero convinto che buona parte della fatica consistesse nel riuscire a esprimere nel modo appropriato le idee o i sentimenti che nascono in mente o nel cuore, ma ora che sono un po’ più vecchietto, posso dire che quella era solo una fase. La fase successiva ha riguardato – sempre in termini di fatica – la ricerca di una casa editrice appropriata. C’è il rischio di lasciarsi scoraggiare non dico dai dinieghi o dai silenzi, che sono molteplici e ripetuti, ma dalle energie che bisogna mettere in campo per riuscire a costruire il proprio cammino. Soprattutto, aggiungo, quando questo cammino è del tutto peculiare e si è già passati per la pubblicazione, con una decina di piccole case editrici, di quindici romanzi.
Ogni cammino è peculiare, mi direte voi. Non è così, rispondo io.
È pur vero che ogni autore ha il suo specifico cammino, ma ciò di cui parlo io è altro. Io mi riferisco a quando si percepisce che la strada che si sta seguendo è del tutto differente da quella di ogni altro scrittore. Si tratta di una certezza che non arriva tutta d’un colpo, ma che emerge nel tempo, prima come sensazione di essere fuori posto nel contesto editoriale in cui si tentano le prime mosse, poi, accedendo a livelli sempre più ampi, riscontrando una differenza tra ciò di cui si sente il bisogno (per far respirare la propria scrittura, eh, non parlo di bisogno psicologico!) e ciò che l’ambiente (chiamiamolo così) è disposto a offrire. Ci si rende conto, infine, che la strada che si vuole percorrere va costruita, molto più di altri sentieri già tracciati. Ed è questa la fatica di cui parlo.
In modo particolare, mi sto riferendo alle tematiche filosofiche che sto sviluppando negli ultimi due/tre anni, grazie allo sprone della tesi magistrale in Scienze Religiose. Provo a spiegarvelo. Quando mi dissero che avrei dovuto prendere la Laurea Magistrale in Scienze Religiose per poter continuare a insegnare religione (non bastava più la Laurea quadriennale in Filosofia sommata alla Laurea triennale in Scienze Religiose), studiai il modo per rendere fruttuoso anche quel cammino che – all’epoca – ritenevo superfluo, fastidioso, promotore di grande incazzatura, necessario solo per potermi garantire il (più o meno) quieto seguito nell’insegnamento.
Ma dato che ogni esperienza non giunge a caso e non può essere lasciata svanire nel nulla, mi domandai in che modo mettere tutto insieme, scrittura, esperienze editoriali, fantasy, strani incontri con altri scrittori, esperienze spirituali, cammino cristiano e insegnamento, per ottenerne un frutto da poter utilizzare anche in futuro. Nacque così l’idea di confrontarmi con il neopaganesimo e con i movimenti magici.
Ora, potrà sembrare una scelta eccentrica, ma nel mondo in cui mi muovevo fino a qualche anno fa (quello dell’editoria fantasy), neopaganesimo e ordini magici sono all’ordine del giorno. Da cristiano ero in continuazione sollecitato a un confronto. Lungi da me un atteggiamento giudicante, decisi però di approfittare della situazione per tentare di costruire un ponte, un dialogo, se volete, con queste realtà. Pianificai perciò una tesi sulle possibilità di dialogo tra cristianesimo e neopaganesimo. Il progetto che proposi all’Istituto di Scienze Religiose era troppo ampio, ci sarebbero volute sei o sette tesi per affrontare tutto ciò di cui avevo intenzione di parlare, motivo per cui restringemmo il campo – dopo un serrato lavoro di taglio e ritaglio – al solo ambito “magico”, e con la declinazione narrativa. Così provai a ipotizzare uno schema di ragionamento, all’interno del quale mi sarei misurato con la visione magica della realtà nella narrativa, dal Rinascimento fino a oggi. Anche quel progetto era molto ampio, e dovetti ridurlo ulteriormente. Una volta, poi, che mi fui laureato (senza risparmiarmi un mezzo litigio con il Preside del Liceo Classico più importante di Verona, che faceva da controrelatore, e che prese piuttosto sottogamba me o la tesi che avevo scritto), ripresi il progetto iniziale, rimisi mano alla tesi e tornai a rielaborarla, ampliandola sempre più, fino a farla diventare un saggio che sto ultimando in questi mesi. Si intitola “Il codice narrativo della magia”, ed è un testo di filosofia che – forse per la prima volta in modo così approfondito – tratta del modo in cui un sistema magico viene veicolato in un testo di narrativa. Ovviamente il sistema presentato è solo un abbozzo, anche se facilmente si avvicinerà alle 500 pagine, ma costituisce uno strumento pratico per tutti, punto di partenza per un cammino del tutto personale alla ricerca di un confronto che sento sempre più necessario per la nostra cultura europea, occidentale. In ogni caso, italiana.
Un ulteriore elaborazione di questo progetto sono i corollari che ho già in parte realizzato: un articolo sull’analisi fenomenologica dell’atto magico (pubblicato in questi giorni sulla Rivista di Ascetica e Mistica dell’Ordine Domenicano), un saggio su un archetipo filosofico (ma anche psicologico) del quale non ho trovato trattazione alcuna (e che spero di pubblicare nell’anno a venire), ma che era fondamentale per l’elaborazione del saggio, un altro articolo sulla formazione dell’identità personale a contatto con la narrazione… Insomma, un progetto che si sviluppa sempre di più. Tutto questo non toglie spazio alla narrazione, ai romanzi, ma a tal riguardo, sono in ulteriore ricerca: fino a quando non avrò trovato un editore di significativa importanza nazionale, non pubblicherò più. I segnali sono comunque buoni e, sotto questo aspetto, sono molto più fiducioso di un tempo.
Non posso però nascondere come tutto questo cammino sia segnato da fatica. C’è il piacere per la scrittura, ma c’è anche il tentativo di costruire una strada personale che – ora ne sono consapevole – non è stata segnata in alcun modo. Forse ogni scrittore davvero tale si rende conto di dover affrontare, prima o poi, questa fatica e, forse sì, sono piuttosto presuntuoso nel definirmi “scrittore davvero tale”. Questo però è ciò che penso. In parte, inoltre, la consapevolezza di dover costruire una strada tutta propria è legata anche alla tipologia di risposte che si ricevono. Magari grandi interessamenti, ma successive difficoltà, legate a qualcosa che sempre sfugge. Questo qualcosa, ne sono sempre più convinto, è esattamente ciò che contraddistingue un cammino specifico, sui generis, da un cammino qualunque.