Il simbolismo della Risurrezione: una rinascita? – Domenica di Pasqua

ulivi_10La risposta è no: la Resurrezione non è una rinascita, come invece dicono moltissimi che non sono sufficientemente disposti ad ammettere la differenza, e il collegamento con il concetto di tempo ciclico è solo tangenziale. Vediamo nello specifico, in questa ultima riflessione sul Triduo Pasquale 2017. Stavolta il mio approccio sarà ben più filosofico degli altri.

In Il mito dell’eterno ritorno, il grande antropologo Mircea Eliade si preoccupa di mettere in chiaro che, sebbene la risurrezione abbia avviato una modalità differente del tempo e della storia, il concetto di tempo ciclico e della rigenerazione periodica della storia è comunque passato anche nella cultura cristiana. Ricordiamo che per il cristianesimo il tempo è reale poiché ha un senso: la redenzione.

La croce sotto l’aspetto spaziale1 e la risurrezione sotto l’aspetto temporale costituiscono i punti necessari per ogni giudizio che si voglia emettere sulle concezioni spazio-temporali di dottrine, teorie e riflessioni di qualunque genere. Il che, come già sottolinea Eliade, non esclude che vi siano state infiltrazioni di altro genere (concezioni cicliche e di rinnovamento periodico2) derivanti dalla mitologia di popoli circostanti o da credenze del passato.

Che la Risurrezione concretizzi una nuova creazione è, a livello teologico, testimoniato dalla fede degli autori del Nuovo Testamento attraverso la narrazione della resurrezione di Cristo. Tuttavia, preferisco chiarire quanto riguarda la nuova creazione insita nella resurrezione partendo dal chiarimento espresso da un teologo tedesco, Hans Kessler, nel suo capolavoro teologico, La risurrezione di Gesù Cristo. Circa l’azione di Dio nel mondo, Kessler afferma come sia la risurrezione a costituirne la rivelazione definitiva, che è impossibile cogliere partendo dai dati umani o intramondani3. Compimento dei morti, che senza riconoscimento di un Dio diviene «eo ipso assurdo»4, la risurrezione rappresenta a un tempo un inizio radicale paragonabile solo alla creazione ma, al contempo, non un nuovo inizio assoluto, poiché simile azione divina non smentisce quanto accaduto precedentemente nella vita della persona, ma «si riallaccia ai morti (ai soggetti divenuti puri ‘oggetti’) e al mondo pervenuto alla sua fine, per creare qualcosa di radicalmente nuovo»5. Mi preme sottolineare come tale nuova creazione (per l’appunto radicale ma non assoluta) avvenga in modo definitivo solo nella risurrezione di Gesù Cristo e come accada sotto il segno della cessione di potere, «soprattutto nell’umiltà del Gesù terreno e nell’impotenza del Gesù crocifisso. […] Dio agisce quindi nell’umiltà e nell’impotenza di coloro che si aprono a lui e proprio così (nell’agape prodotta da Dio) cominciano ad esistere per gli altri. […] In questa impotenza dell’esistenza per gli altri Dio guadagna potere e spazio nel mondo»6.

Se la risurrezione ha senso solo a partire da un’azione totalmente libera di Dio ma iscrivendosi nella storia del morto, così l’azione di Dio come novità radicale per l’umanità è pienamente comprensibile solo cogliendo gli antecedenti e la preparazione nell’Antico Testamento: i riferimenti a una vita dopo la morte degna di tal nome si trovano solo verso un’epoca tarda. Eppure bisogna considerare che fin dall’inizio la fede di Israele in Dio fu legata a una salvezza e liberazione storiche7, al concetto di creatore in quanto Dio vivo, sorgente di vita per la polvere inanimata8, Signore della vita in quanto potente nel darla e nel riprenderla9. E se la morte è la fine irrevocabile della vita, non costituisce una fine totale: dapprima Israele condivise la fede medio-orientale in una vita nell’Ade, una vita «stentata, senza energia e senza gioia, che è solo l’ombra della loro passata esistenza»10, lontananza da Jahvé; poi alcuni testi (2 Re 4,31-37; 13,21 e 1 Re 17,1724) raccontarono di risurrezioni operate da Eliseo ed Elia, non certo un risveglio dalla morte definitivo, ma una riconduzione alla vita mortale. «Il superamento della morte ad opera della superiore potenza di Dio fa parte per Is 25,6-8 e per il Sal 22,28-30 della pienezza delle aspettative, che sono collegate con la sovranità universale definitiva di Dio»11.

Passando all’aspetto temporale coinvolto nella risurrezione, si può dire che con il Cristianesimo si ha un passaggio definitivo al tempo dell’eternità.

Per chi è deciso a vivere come Cristo, primo dei Risorti, il tempo profano viene definitivamente accantonato per partecipare al tempo del Regno, e la parousia si fa presente in ogni istante della vita dell’uomo, divenuto egli stesso celebrante-sacerdote con Cristo-sacerdote eterno. Abbiamo a che fare con un vero e proprio paradosso logico, dal momento che l’eternità fa irruzione in ogni singolo attimo di vita temporale del cristiano. È in questa dimensione “eterna” che l’essere umano diviene fino in fondo ciò che è, nella riconferma di ciò che è stato nella vita del corpo. L’elemento extra-umano costituito dalla libertà totale, che è elemento divino, è qui punto di partenza, modello e punto d’arrivo della realizzazione escatologica del significato più vero dell’uomo, nel rinnovamento radicale che non è però – come già detto – inizio assoluto. La risurrezione come novità radicale ma non inizio assoluto ci offre perciò l’occasione di approfondire proprio il côté temporale della questione, sempre in tensione tra novità e ripetizione.

Ora, un affondo letterario. Se la creazione avviene secondo lo schema stabilito da Dio e la risurrezione avverrà per confermare l’essere umano e la creazione tutta secondo lo schema pre-stabilito da Dio, la nuova creazione operata invece dall’uomo non può che avvenire secondo uno schema stabilito dall’uomo stesso. Il rischio di una simile operazione è di creare una immagine parodistica della creazione divina, che si estrinseca in una finzione tendente a un mito. Esempi letterari classici sono il giardino di Armida nella Gerusalemme Liberata, imitazione di una condizione paradisiaca indicata dal mito edenico, il golem ebraico, esemplificato dal racconto omonimo di Meyrink, in cui la creatura nata per opera della magia riappare per le strade di Praga ogni 33 anni, quasi parodia di Cristo (ancora più rappresentativo è sotto questo aspetto Frankenstein di Mary Shelley, la cui creatura diviene parodia dell’Adamo della Genesi), oppure i robot positronici immaginati da Asimov (e basati sulla leggenda del golem) e capaci di guidare le sorti dell’umanità come fossero arcangeli protettori, con l’ovvia conclusione che una guida tanto “artificiale” porta l’umanità a conclusioni nulle, che determinano la perdita dell’individualità umana a favore di una fusione mentale totale estesa a tutta la Galassia.

1 Per una più approfondita disamina dell’archetipo dell’Albero della Vita e del suo rapporto con la Croce si può consultare Mircea ELIADE, Trattato di storia delle religioni, Torino: Editore Boringhieri 1976, paragrafo 109, «L’Albero e la Croce».

2 Può essere interessante notare come, a tal riguardo, si trovi compresenza di eventi unici e di ciclicità temporale già all’interno della elaborazione talmudica, come per esempio nel Talmud Babilonese, Trattato Rosh haShanà, a cura di R. S. DI SEGNI, Firenze: Giuntina 2016, XXXVII-365 pp. La modalità ciclica è ravvisabile nel ritorno, anno dopo anno, delle medesime festività e ritualità, come a p. 5: Aveva detto il Maestro della bariate: a un re che si è insediato il 29 di adir, con l’avvento del primo di nisàn gli si attribuisce un anno di regno. La bariate ci insegna che nisàn è il capodanno per i re, e anche che un solo giorno dell’anno vale come un anno intero; o a p. 23: Ma paragoniamo invece Shavuot alla festa di Sukkòt: come lì (Sukkòt) dispone di otto giorni per compiere il sacrificio, anche qui (di Shavuot) si potrebbe compiere il sacrificio in tutti gli otto giorni! L’ottavo giorno di Sukkòt è una festa di pellegrinaggio a sé stante. Ammettiamo pure che l’ottavo giorno sia una festa di pellegrinaggio a sé stante in base a sei parametri indicati negli acronimi «PaZàR» «QaShàV», ma per quanto riguarda la possibilità di offrire un sacrificio che non è stato offerto il primo giorno, tutti concordano che è possibile offrirlo nell’ottavo giorno come compensazione per il primo. Da questi due testi sembrerebbe rinvenire una mentalità di tipo temporale ciclico, ma sono ravvisabili anche fatti spirituali che non sono a ciclo continuo, ma che si caratterizzano come riti effettuabili un’unica volta, come a p. 25: E il sacrificio di pèsach può essere sacrificato in una delle altre feste di pellegrinaggio? Il sacrificio di pèsach deve essere portato in un momento preciso, il pomeriggio del 14 di nisàn. Se è sacrificato nel momento giusto, è sacrificato in maniera appropriata, ma se non è sacrificato al momento giusto è invalidato per sempre! Ovviamente a noi non interessa la validità del sacrificio, bensì il concetto temporale e, per così dire, di evento unico che vi sottostà. Inoltre, si rinviene anche il pensiero per cui una parte del tutto equivale al tutto, come a pp. 73-74: E rabbì Elazàr per quale motivo sostiene che un solo mese dell’anno è considerato come un intero anno? Perché è scritto: Nel primo mese il primo del mese (Ges. 8:13). Pertanto nonostante il mese sia iniziato soltanto da un giorno, viene comunque chiamato «mese», se ne deduce che un solo giorno del mese è considerato come un intero mese. E se un giorno del mese vale come un mese, trenta giorni dell’anno valgono come un anno.

3 Cf Hans KESSLER, La risurrezione di Gesù Cristo. Uno studio biblico teologico-fondamentale e sistematico, Brescia: Queriniana 1999, p. 262.

4 Ibid., p. 274.

5 Ibid, p. 275.

6 Ibid, p. 273.

7 Cf Ibid., p. 33.

8 Cf Ibid., p. 34.

9 Cf Ibid., p. 35.

10 Ibid, p. 37.

11 Ibid, p. 47.


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