Da quando ho iniziato a scrivere fantasy, ovvero all’età di trent’anni, non ho più smesso. La mia prima produzione è stata Storia di Geshwa Olers, ed è al momento il romanzo nel quale mi sento maggiormente coinvolto, perfino a dispetto degli horror, piccoli successi del mio ancora breve cammino di scrittore. Il motivo è presto spiegato: in quanto fantasy, esso fa riferimento diretto alla narrazione simbolica che la nostra anima inscena nella parte più profonda della nostra personalità.
Parlo di anima nel senso che le dava C. G. Jung, ovvero come dell’archetipo femminile insito in ciascuno di noi, capace di farci crescere nel miglioramento. Soprattutto per gli uomini, l’anima è un’attività di continua ricerca e di superamento del limite della situazione di necessità, che ci spingerebbe a rimanere ancorati a ciò che conosciamo dalla nascita. Per evolversi, l’essere umano ha bisogno di cogliere il fascino di tutto ciò che sta ben al di là del piccolo giardinetto privato, ha bisogno di alzare lo sguardo verso il cielo e, se possibile, verso l’orizzonte ancora nascosto. L’anima ci aiuta in questo lavoro continuo.
Per affascinarci e attrarci, l’anima utilizza l’immaginario simbolico. La narrazione simbolica è la più adatta a trascinarci fuori dal nostro giardino, permettendoci di vivere e confrontarci con ciò che risiede nelle nostre profondità, ma che ancora non è stato attivato. L’immaginazione simbolica, così tipica della narrazione fantastica in generale, ma ancor di più della narrativa fantasy – se ben fatta – è l’ancora di salvezza per un essere umano in continua ricerca di un orizzonte più ampio nella vita, spesso così soffocata dalla società in cui viviamo.
Una risposta a "Il fantasy come narrazione simbolica dell’anima"