Forse il 2023 nasce nel segno del timore per un programma di intelligenza artificiale che, dicono, potrebbe soppiantare la manualità umana. Si chiama Midjourney e nella sua versione 4 produce immagini splendide. La questione, però, forse è mal posta.
Alcuni pensatori hanno messo in evidenza come ci sia il serio rischio che un programma di intelligenza artificiale possa sostituirsi all’artisticità dell’essere umano, mettendo in discussione ciò che costituisce l’essenza stessa dell’umano o, peggio ancora, scimmiottandolo in modo indistinguibile. Il programma di A.I. in questione, Midjourney, lavora secondo un algoritmo (si dice così?) che macina milioni di immagini diffuse in rete nell’arco di pochi minuti, producendo modifiche e variazioni che, derivando da un numero elevatissimo di fonti disparate, non sono più riconoscibili per tali, ma che possono tranquillamente (o quasi) essere spacciate per prodotto dell’ingegno umano.
E il problema, a mio modesto modo di vedere, sta tutto qui. Vi spiego perché.
Se ci chiedessimo in cosa consista il talento di un essere umano, riusciremmo a rispondere con difficoltà, tant’è vero che ogni filosofo e ogni pensatore ha la sua risposta personale, più o meno condivisibile. Io stesso posseggo la mia, e l’ho in parte data in Filosofia mistica della conoscenza (Mimesis, 2020) dove legavo il concetto di talento in modo stretto a ciò che nella singola persona permane di caratteristico dell’eternità del Divino da cui l’essere umano origina e che non si modifica al modificarsi delle narrazioni contingenti: sarebbe, potremmo dire, il modo in cui l’Essere eterno che è in noi riesce a esprimersi imprimendosi in ciò che facciamo, secondo il modo specifico di ciascuna persona “talentuosa”.
Al di là di ciò che penso io, però, riguardo a cosa sia il talento, ma anche al di là di ciò che chiunque pensa di cosa il talento sia, c’è un fatto che a me pare evidente: in ogni caso, esso si esprime secondo vie che sono stabilite dall’essere umano, in modo più o meno immediato (cioè posso esprimere il mio talento nel fare io stesso un disegno con le mie mani o posso esprimerlo dirigendo il lavoro di altre persone –> vedi il regista), ma che tende a mostrare l’esistenza di un plus, di un sovrappiù di ciò che si ottiene rispetto a ciò da cui si partiva. Il talento esprime, per l’appunto, l’Essere dell’ “essere umano”, non l’umano stesso. Il talento non è frutto degli elementi che ne compongono il prodotto, ma è ciò che gestisce in modo unico e irripetibile quegli elementi.
Chiediamoci cosa fa Midjourney: la risposta, sotto questo aspetto, è in realtà molto facile. Esprime l’umano dell’essere umano, riformulato secondo direttive che provengono comunque da… un essere umano. E se Midjourney arrivasse a promptare (come si dice in termini midjourneyani l’attività di dare il comando scritto – tramite un prompt – al programma per eseguire un determinato lavoro grafico) lui stesso a se stesso? Si tratterebbe comunque di un prodotto che contiene in sé il frutto dell’ingegno umano (leggi: talento?) che farebbe esattamente ciò cui l’ingegno umano l’ha destinato fin da principio. Il problema, perciò, non è filosofico. Porre la questione Midjourney sul piano del soppiantare la “coscienza” umana che si muove in ambito artistico, per esempio, oppure del chiedersi se Midjourney abbia “talento” è del tutto fuorviante, perché non è quella la questione.
La vera questione aperta da Midjourney è duplice: da un lato la semplificazione; dall’altro la legalità.
Per quanto riguarda la questione legalità – cioè, se non lo sapete, Midjourney funziona utilizzando le immagini ritrovate in rete, ivi comprese le fotografie mie, tue, dei tuoi nonni se tu le hai messe in rete, ecc. ecc., senza ovviamente rendere possibile il riconoscimento di eventuali diritti d’uso delle immagini stesse, a motivo della frammentazione d’utilizzo da parte del programma; inoltre, Midjourney soppianterà il lavoro di moltissime persone, esattamente come è accaduto in passato e accade anche adesso che state leggendo questo articolo per molti lavoratori soppiantati da macchine in questa o quest’altra mansione -, c’è chi ha già esposto molto meglio di quanto possa fare io il problema. Un esempio su tutti, l’articolo di Vanni Santoni apparso su L’Indiscreto (e che potete leggere qui).
Per quel che riguarda l’altro fronte, la semplificazione, possiamo a nostra volta semplificare il problema in questo modo: Midjourney è uno strumento, sorprendentemente sorprendente, ma è un mezzo, e come tutti i mezzi inventati dall’Essere Umano, ha lo scopo di semplificargli il lavoro. Da che mondo è mondo, la tecnologia umana ha sempre avuto questo obiettivo: la ruota serve a far procedere qualcosa con maggior velocità o a schiacciare qualcosa con maggior velocità o a poter tornare in un punto simile al precedente con maggior semplicità; il carretto serve a trasportare merci pesanti con maggior facilità che se non lo facesse un essere umano o un gruppo di esseri umani; il treno serve a permettere a un gran numero di persone di raggiungere una località con maggior facilità (e semplicità) di quanto possano fare caroselli di macchine ingorganti le strade; il computer ha lo scopo principale di permettere all’essere umano di semplificare una miriade di lavori prima complessi tramite una programmazione razionale degli stessi che ne aumenta precisione e ne migliora i tempi; le app servono a semplificare ciò che prima era difficoltoso trasformando la laboriosità di un sistema lavorativo-produttivo in… giocabilità (come ha messo in luce Baricco con The Game).
Infine, arriva Midjourney, che potremmo definire la app delle app, forse un internet 4.0 (o che ne so io): un programma di cosiddetta AI che non fa altro che semplificare ciò che prima era già stato semplificato da altri mezzi (fotografici, pittorici, ecc.), allo scopo di permettere all’Essere Umano di ottenere ciò cui ha sempre puntato. Una produzione adeguata alle proprie esigenze. Se ci pensiamo bene, il computer e la rivoluzione digitale che ha portato con sé non sono altro che uno dei massimi livelli di espressione della mente umana, pensata secondo una filosofia codificata in un certo modo (cioè tramite la discretizzazione delle informazioni), ma che proprio per tale motivo, è solo una parte del tutto di cui l’Essere Umano fa parte. Non lasciamoci, però, convincere che l’Essere Umano sia solo questa parte, perché questo potrebbe essere il rischio implicito nell’utilizzo di un mezzo sorprendentemente sorprendente come è l’intelligenza artificiale.
Il problema non è né più né meno che questo. Tutto il resto è, per l’appunto, questione legale (fondamentale, inevitabile, tragica) o questione filosofica mal posta.