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Trama.

Il sedicenne Garraty si iscrive alla Lunga Marcia, una gara impossibile ai limiti della crudeltà, istituita da un fantomatico generale in un paese – pare – governato da una dittatura. Si tratta ovviamente di una distopia legata al fatto che gli Stati Uniti hanno perso la seconda guerra mondiale e chi è discorde dal pensiero generale imposto dalla dittatura, sparisce nel nulla. Dai confini con il Canada fino a Boston, 100 volontari corrono a piedi senza mai fermarsi, senza mai scendere sotto la velocità di sette chilometri orari e con tre ammonizioni disponibili per pause non maggiori di 30 secondi. La punizione è un’esclusione definitiva: dalla vita! Infatti chi viene punito è direttamente eliminato dalla faccia della terra, ucciso sul posto per fucilazione.
Coperto dallo pseudonimo Richard Bachman, Stephen King ha pubblicato questo strano romanzo nel 1979. Mette in scena una sfida mortale, quasi senza senso, in un’America che ha gran poco di democratico.
Il romanzo presenta un’America cinica ai limiti della cattiveria, in cui la Lunga Marcia è attesa come un evento clou dell’anno mediatico, polo attrattore di curiosità e fanatismi quotidiani.
Nessuno si scandalizza per il massacro di un gruppo di adolescenti, ma, all’opposto esatto, le persone vengono attratte in morbosamente dall’evento mediatico, arrivando perfino a parteciparvi come fosse una parata gloriosa. Fosse stato ambientato oggi, sarebbe stato un perfetto evento social: anzi, in qualche modo ha descritto l’insolente e pervasiva presenza dei giudizi delle persone su vittime sacrificali portate agli altari della notorietà.
La folla, che si fa via via più numerosa ed eccitata con il proseguire della competizione, ha dei comportamenti tanto opposti quanto affini, perché da un lato osanna il vincitore e cerca di ottenere dei “trofei” dai Marciatori, mentre dall’altro è pronta all’insulto, al disprezzo, e ovviamente a piazzare qualche scommessa. Tutto ciò che fanno e che producono i corridori nella loro marcia estenuante (escrementi compresi!) diventa ambito trofeo. Il feticismo e la privazione di valori di un paese in assoluta povertà morale emerge con vigore da questo ritratto spietato.
In effetti, al di là della costruzione fantastica che King ingegna per mettere in scena questo dramma, quel che spicca dalle righe del romanzo è il realismo di una condizione americana eccessiva.
Non si pensi che Stephen King parli di qualcosa di totalmente inventato o estraneo alla realtà: leggendo queste pagine (che si divorano tutto d’un fiato in poco tempo) mi sono venute in mente altre rappresentazioni al limite, prima fra tutte quella di Sugarland Express di Steven Spielberg: proprio degli stessi anni del nostro romanzo, anche il regista ha messo in scena quello che doveva essere un vizio americano in crescita, ovvero il voyeurismo, malattia importata anche da noi e che già minaccia la nostra società italiana.
I valori emergono nel corso della gara, nella competizione tra i partecipanti: odio, concorrenza, pazzia non possono soffocare l’amore che emerge a un certo punto nella narrazione, e che diventa dono gratuito di uno dei partecipanti a favore del protagonista, il sedicenne Garraty, ragazzo mediocre quanto a intelligenza e poco prestante fisicamente, elementi che fanno sì che in qualche modo di identifichiamo in lui. Nel corso della storia, dicevamo, c’è anche il dono gratuito di uno dei partecipanti a favore di questo protagonista, rosa che sboccia in un deserto di cinismo. Secondo me questo particolare, sebbene possa apparire debole nel devastante ritratto, è la chiave di lettura del romanzo.
Senza svelare il finale, si scopre proprio alla fine dove sta la vera realtà, il vero calore umano.