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Iniziamo dalla trama (senza spoiler, tratta da Wikipedia). Il romanzo è ambientato nel XXI secolo, nel 2025, teatro di una vita da incubo in cui la televisione tridimensionale domina totalmente la mente e le funzioni umane. Secondo il testo, a quel tempo è obbligatorio possedere una tivù in ogni casa, anche se è ancora concesso spegnerla (in questo più ottimista di 1984 di George Orwell: ogni abitante deve avere uno schermo e non può spegnerlo). I giochi televisivi sono agghiaccianti: devono esserlo per distrarre la gente dall’orrore della realtà, una realtà che è difficile dimenticare e dalla quale solo il superficiale sfarzo dello show può temporaneamente salvare. Al posto di film e telefilm, in cui tutto era “finto” e i protagonisti erano attori che recitavano una parte, ora la TV trasmette vicende reali.
Il protagonista, Ben Richards, ha bisogno di soldi per la figlia Cathy, affetta da polmonite. Non volendo che la moglie Sheila continui a prostituirsi per pagare le bollette, Richards si presenta alla Games Federation, casa di produzione di molte gare violente in TV. I partecipanti vincono soldi se sopravvivono ai “giochi” in cui vengono coinvolti, ad esempio un cardiopatico dovrà rispondere a una serie di domande mentre corre su un cilindro rotante (“il Macinadollari”). Dopo rigorosi test, fisici e mentali, Richards è selezionato per il più importante di questi giochi, L’uomo in fuga.
Per giocare, Richards è dichiarato nemico dello Stato e quindi rilasciato. Gli sono concesse 12 ore di vantaggio prima che un gruppo di persone chiamato “i cacciatori” (una sorta di addestratissimo corpo di polizia) inizi a cercarlo per ucciderlo. I partecipanti guadagnano 100 dollari per ogni ora in cui sopravvivono, 500 per ogni poliziotto che uccidono, ed un miliardo di dollari se riescono a sopravvivere per l’intero mese (cosa cui nessuno si è mai neppure avvicinato). Ma il gioco non è limitato solo a questi giocatori — la TV paga i cittadini d’America per segnalazioni del fuggitivo, o per informazioni che portino direttamente alla sua fine. Il “fuggitivo” può andare ovunque nel mondo, se riesce a viaggiare in modo anonimo. Ogni giorno il corridore deve girare due brevi filmati che deve spedire allo show. Se non lo fa l’erogazione del premio viene interrotta. Qui si nasconde il fallimento dei precedenti partecipanti: nonostante il presentatore giuri il contrario, non appena una cassetta viene ricevuta, i cacciatori sanno immediatamente (dal bollo postale) la posizione approssimativa del fuggitivo. Appena viene catturato, il partecipante viene ucciso in diretta TV. Generalmente, ci sono due giocatori rilasciati contemporaneamente, una riserva in caso che il primo venga ucciso troppo presto.
Scritto con ogni probabilità in un arco di tempo che va dalle 72 ore (come afferma nell’introduzione) alla settimana intera (come dice in On Writing), L’uomo in fuga è un titolo firmato Richard Bachman. Si tratta di un romanzo forse inferiore agli altri, dove predomina l’ansia, con un punto di vista che serve a far scoprire al lettore un’orribile versione degli Stati Uniti man mano che il protagonista compie il suo percorso di parziale ribellione.
I capitoli sono numerati alla rovescia, partendo da “meno 101” a “meno 0”, segnando così il tempo che scorre: ciò nonostante, l’ansia iniziale lascia talvolta il posto a una certa noia nella parte centrale, per una narrazione che non sempre riesce a essere avvincente.
Per certi versi è simile a La Lunga Marcia, anche quella storia di un’America barbarizzata da una distonia dittatoriale; per il resto, condivide la critica sociale a un sistema oppressivo (o percepito come tale) contro il quale combattere con altri romanzi Bachman. Il sistema di un Paese che viaggia sempre più verso il cinismo è denotato da una economica fondata, si potrebbe dire, sui poveri e gli emarginati, usati come materia prima per un generale panem et circenses.
Molto interessante risulta l’utilizzo del reality (in riferimento al cui concetto puoi leggere le prime pagine del romanzo, relative ai giochi trasmessi alla tri-vu, la televisione tridimensionale che deve obbligatoriamente rimanere accesa) quale anestetizzante, assieme alla pervasiva pubblicità consumistica, allo scopo di controllare l’aggressività dei cittadini, così da portarli a non ribellarsi a un sistema reale ancor più tremendo di ciò che cinicamente viene mostrato in tri-vu. Quando il romanzo venne scritto, il reality era appena agli albori negli Stati Uniti e a King va il merito di averne compreso la possibile portata sull’immaginario e la percezione degli spettatori.
Di certo, questo romanzo sente l’influsso di 1984 di Orwell, sebbene questa storia, non alla pari del suo famoso predecessore, riveli le caratteristiche che più stanno a cuore del grande scrittore americano: l’amore per la propria famiglia, incarnato dal protagonista, la critica al sistema americano e lo sdegno per la manipolazione della verità, argomento tipico di molti altri romanzi di King, sebbene spesso veicolato (in altre storie) dal Maligno, principe delle illusioni.