La nostra società è malata di efficientismo e di attivismo: il senso della nostra vita è spesso delegato alla riuscita in ciò che si fa, misurata in successo o fallimento. Il Vangelo di questa terza domenica di Avvento, invece, mette l’accento su un altro aspetto, fondamentale: l’attenzione.
Credo che quanto sto per dire valga per tutti, non solo per i credenti. Si tratta proprio dei fondamenti di una società civile, ed è indubbio che il nostro concetto di società “civile” nasce da alcuni elementi tipici del cristianesimo.
L’attenzione all’altro è uno di questi, se non il principale. Attenzione che vuol dire amore o, meglio, amore che vuol dire attenzione. Come vivere l’amore? Traducendolo in attenzione a chi si ha di fronte.
Andiamo per gradi, basandoci per l’appunto sul Vangelo. “Cosa dobbiamo fare” pare essere il leitmotiv di quello di oggi. La domanda viene rivolta non a Gesù, bensì a Giovanni il Battista. Prima glielo chiedono le folle. La risposta è perciò per tutti: condividete! Chi ha di più, dia a chi ha di meno. Questa è l’unica risposta positiva che viene data. Fate così: condividete. Poi glielo chiedono dei pubblicani: la sua risposta è negativa. Cioè: non-fate così. Ovverosia: evitate di avere un comportamento da profittatori, non chiedete nulla di più. Non-fate. Infine, arrivano anche i soldati. Ecco la risposta: non-fate, non estorcete nulla, non siate prepotenti. L’aggiunta (“accontentatevi delle vostre paghe”) non è un invito ad accettare lo status quo e il livello di sfruttamento dei soldati da parte dei governatori, bensì è una traduzione in positivo dell’invito negativo appena fatto: il “non-fate estorsioni” si traduce al positivo in “accontentatevi delle vostre paghe”.
C’è un ulteriore passaggio, che credo chiarisca esattamente il senso di questa concentrazione di senso sul binomio fare/non-fare, ed è dato da ciò che Giovanni dice di se stesso a chi si chiede chi sia in verità. Giovanni risponde così: “viene colui che è più forte di me. […] Tiene in mano la pala per pulire”. Il potere è suo, cioè di Cristo, non mio. Se guardiamo al testo greco, il termine usato per dire che è “più forte” è ischyrós, che vuol dire “saldo, forte, potente”. Cristo è, perciò, uno che è più saldo di quanto non sia Giovanni il Battista, ed è colui che è in grado di tenere in mano la pala (il ventilabro) per ripulire l’aia, eliminando la pula dal grano, che vuol dire, come sappiamo, eliminare ciò che non va da ciò che va, affinché ciò che va, ciò che è buono, risalti in tutta la sua “divinità”.
Se guardiamo al senso complessivo, alla domanda “cosa dobbiamo fare”, la risposta complessiva che viene data è “fate del vostro meglio per vivere la condivisione, rispettando chi avete di fronte, perché rispettare è una forma profonda d’amore; poi, verrà uno che renderà pienamente efficace questo vostro amore, perché completerà il senso del vostro non-fare”.
Per noi che siamo malati di attivismo e di convinzione di poter fare il bene, l’invito a rispettare, che spesso si traduce in un “evitare di fare cose che per noi sono le più giuste”, diventa il passaggio necessario per aprirci all’azione di qualcuno che è più forte e saldo di noi.
Ecco cosa stiamo attendendo, in questo Avvento: uno che è più forte di noi e che renderà perfetto l’amore che possiamo vivere nella nostra esistenza.
Una risposta a "Avvento 3: fare o non fare?"