Avvento 4: di silenzio in silenzio

Siamo abituati a pensare che Dio ci debba parlare o che abbia un messaggio per noi. È il Vangelo stesso ad averci abituato a questo modo di pensare, o soprattutto il cristianesimo, perché – ci hanno spiegato – vangelo vuol dire “buona novella”, cioè “buona notizia”. E se una notizia non viene data, come si può sapere che è buona?

Gli angeli cantano in cielo, svegliano i pastori e gli dicono di andare alla mangiatoia vicina. Dio parla nel sonno a Giuseppe e gli dice di accettare il figlio di Maria. L’angelo Gabriele parla a Maria. Isaia preannuncia la voce di uno che grida nel deserto. Dio è vicino? Ci si aspetta che parli, anche oggi. E infatti, non è forse vero che ci sono una miriade di messaggi che giungono – o presumono giungere – dal Divino? La Madonna, in questo, sembra una campionessa di parlantina, lei che stando ai Vangeli aveva davvero ben poche cose da dire. Eppure, le rivelazioni – cioè parole – si susseguono al ritmo di decine ogni anno.

Forse ci si sta sbagliando. Forse si crede che Dio sia il dio della Parola… nel senso che non la smette di parlare. Eppure, i fatti evangelici ci dicono ben altro.

Gesù predicava, ma lo faceva in quanto Figlio dell’Uomo. Soprattutto, dopo aver mostrato il tratto divino nella sua presenza attuale, tramite i suoi “segni”, diceva di non raccontarlo. Non parlate! Torna qui la caratteristica principale di chi vuole aprirsi a Dio: non-fare. Si tratta di una morale per via negativa.

A chi gli chiedeva se fosse Re, Gesù rispondeva: tu l’hai detto. Perché Gesù, non esprimeva idee su se stesso. Gesù non aveva un “ego” da propagandare, ma aveva un volto da mostrare, quello del Padre, che di certo non ci riempie di parole. A essere eloquente in Cristo, è la sua trasparenza nei confronti del Divino, da sempre considerato irraggiungibile. E infatti, è stato il Divino stesso a raggiungerci.

Lo fa nell’uomo più piccolo che sia pensabile, quello che è appena nato. E che non parla. Non sa parlare, sa solo esprimere versi, mugugni, pianti. Al limite, silenzi. E nasce proprio come muore: senza parola, dopo aver rimesso lo Spirito nelle mani del Padre.

Dovremmo accogliere il fatto che Dio sia soprattutto il Dio dei silenzi, oltre che dell’assenza. Attenzione, però: non si tratta di un silenzio gravoso, ma rispettoso; non è un silenzio cattivo, ma buono. È il silenzio di chi offre la possibilità all’essere umano di essere se stesso. E ancora attenzione: la sua non è un’assenza negativa, che ci lascia soli, bensì un’assenza che spinge il nostro sguardo a cercarlo, che muove il nostro cuore alla purezza del sentimento d’amore.

Cosa fa Maria quando si sente dire che Elisabetta – che non poteva aver figli – sta aspettando anche lei già da sei mesi? Corre a trovarla. Deve controllare di persona, deve vedere con i suoi occhi il segno che le è stato dato a garanzia della promessa che l’angelo le ha fatto. E a fronte di una parola divina – quella dell’angelo – molto più eloquente diventa la parola silenziosa che, di pancia in pancia, sobbalza nelle due donne.

Di silenzio in silenzio, tra Maria ed Elisabetta, il Verbo mostra tutta la sua contraddittorietà, al di là degli schemi umani, al di là della capacità previsionale dell’uomo. Giunge dal silenzio, il Divino, e torna nel silenzio, ma è un silenzio più eloquente che mai.


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