Dopo quello che è stato detto nelle prime tre parti della riflessione sull’arte in legame con la mistica (che potete leggere qui, qui e qui), non rimane che provare ad applicare quanto detto a un’opera concreta. Si tratta dell’altare del Parmiggiani a Gallarate, che tanto ha fatto discutere qualche anno fa.
Ha destato molte polemiche, soprattutto per il suo aspetto “macabro”, a detta di molti, e per un’apparenza eccessiva in seno a una basilica che gode del suo equilibrio bicentenario.
Il nuovo altare di Claudio Parmiggiani, importantissimo artista italiano, pare avere colpito nel segno, capace di suscitare interrogativi e di far pensare, due aspetti fondamentali per un’opera d’arte. Ma proviamo a considerare l’opera in quanto altare, per la sua funzione sacra all’interno di un edificio sacro, nel tentativo di scoprire se e in che modo riesce a rispettare la propria funzione in relazione all’ambito divino, cui dovrebbe rimandare. Di se stesso, l’artista dice:
Ho ricevuto un’educazione di tipo rinascimentale, umanistica, come del resto altri artisti della mia generazione, un’educazione preziosa, disegnando le cose dal vero, le forme in prospettiva, lo studio delle ombre, delle luci. Osservare il movimento di una linea, la forma di un corpo, il tremito di un velo, come si irradia la luce, come un’ombra si appoggia al mondo, come lo sfiora. Sentire l’ombra come carne incorporea appesa al tempo, la metamorfosi di un colore nella rifrazione della luce, un volto dentro il cristallo di una lacrima: è qualcosa che è dentro l’occhio – equilibrio, forma, spazio, geometria – che è bellezza e luogo di profonda malinconia. Ed è stato anche un modo per comprendere una cosa importante; cosa sia la misura.
testo tratto dall’intervista sul sito Artext, all’indirizzo http://www.artext.it/Claudio-Parmiggiani.html
Un primo aspetto generale da chiarire riguardo al gesto d’arte e alla produzione che ne consegue, è che l’artista provoca un’apertura dell’ambito del divino a favore del fruitore, che potrà fruirne oppure no a seconda della capacità di lasciarsene irretire. L’arte provoca l’estasi, ovvero la possibilità di “uscire da sé”, dai limiti della propria personale visione, e tale capacità di provocare l’estasi o, per meglio dire, l’estasi subita a motivo dell’arte, è precisamente quel che ci mette nella condizione di poterne giudicare l’aspetto estetico: ora appare chiaro come tale aspetto estetico non possa ridursi unicamente a una questione di “immagine”.
L’arte “porta fuori” di sé, dicevo, ma da cosa e verso cosa? Porta fuori da sé, per far sperimentare possibilità diverse. Si inserisce, perciò, nella dinamica di differenziazione dal divino (di per sé unificante) che l’essere umano in continuazione vive nella sua dimensione esistenziale.
Tuttavia, l’arte porta comunque verso l’Essere stesso, perché la produzione d’arte si rivela come uno sprazzo veritativo sul flusso infinitesimale dell’Essere, che è sempre presente. L’arte mostra come l’Essere sia il nostro approdo, ciò verso cui tendiamo e ciò da cui ci siamo allontanati. Affinché ciò avvenga, tuttavia, il fruitore necessita di uno “spazio” giusto, che non è per forza un museo o un qualunque luogo appositamente pensato, ma è soprattutto uno spazio (e, aggiungo, un tempo) mentale, di una Coscienza che si predispone ad accogliere ciò che giunge dal divino tramite la produzione dell’esteta. Vi sono alcune caratteristiche generali che fanno sì che l’arte metta in collegamento l’aspetto esistenziale dell’essere umano con la portata infinita del divino. Vediamo quali sono, pensandole in riferimento all’altare di Parmiggiani.
Lo spazio e il tempo. Proprio l’arte rivela come lo spazio e il tempo siano caratteri derivati della Coscienza, gestiti e manipolati a seconda della necessità d’espressione, soppressi, se necessario, o annullati con dinamiche sempre differenti. Dal momento che l’arte manipola e gestisce la Luce e il Suono, essa ha un contatto privilegiato con l’ambito del Divino, caratterizzato da un Assoluto che, nell’esistenza concreta, si esprime attraverso una mediazione spazio-temporale, e perciò tramite una figurazione differenziata di Luce e Suono. Uno degli scopi dell’arte è quello di abbattere le separazioni spazio-temporali, e di creare un ambiente nel quale si è avvolti completamente, rendendo presente il divino. L’attualità dei dipinti e delle sculture non è mai relegata all’epoca in cui sono stati eseguiti, bensì è valida per l’Essere Umano di ogni momento, questo perché l’arte parla direttamente all’eterno che c’è nell’umano e nella sua esistenza quotidiana. Nella fattispecie dell’altare di Parmiggiani, i volti tratti da statue di ogni epoca, e soprattutto di ogni appartenenza spirituale, rimandano proprio a questo superamento del tempo, all’aspetto eterno dell’umanità, che è diretta rappresentazione dell’eternità divina, secondo le scansioni temporali tipiche dello sviluppo della cultura umana.
La dicibilità dell’indicibile. L’arte riesce a mettere assieme le parti altrimenti divise del Tutto: l’emotività assieme alla razionalità, l’eternità assieme alla temporaneità, l’immutabilità assieme al cambiamento, la staticità assieme al movimento, rompendo il muro di ciò che senza l’arte non significherebbe nulla, avvolgendolo in un abito di significato che lo rende appariscente al Mondo. La capacità dell’arte di cogliere l’indicibilità deriva dall’attitudine della Coscienza di cogliere lo spirituale. Nella fattispecie di questo altare, la giustapposizione di statue appartenenti a tradizioni differenti e spesso, perlomeno nella storia del cristianesimo, contrapposte, non fa altro che invitare all’interrogativo riguardante l’appartenenza religiosa: è possibile, infatti, affermare che un’opera sia cattolica (che vuol dire “universale”) se è capace di rivolgersi soltanto ai fedeli di una ben precisa confessione o, ancora peggio, ai fedeli di una ben precisa religione? La specificità dell’opera d’arte, che è capace di parlare a chiunque, aldilà dei confini religiosi, non diventa in questo caso anche maggior valore di un’opera volutamente di un ambito religioso che dice di sé di essere “universale”?
La mimesi. Ogni forma d’arte è mimesi, imitazione della natura, e lo è in quanto l’Essere Umano percepisce nella natura e nel mondo che lo circonda una presenza che non può essere ridotta unicamente all’essere proprio dell’Umano. Anche la presenza dell’Umano nella natura rimanda simbolicamente alla presenza di qualcun altro o di un altro ambito, che è quello divino. Il divino parla o gli viene data possibilità di parlare attraverso l’arte, perché essa è sistema simbolico di natura derivata o di secondo grado. In questo caso, l’altare di Parmiggiani rappresenta le teste di statue di altri artisti: vi è un richiamo mimetico all’arte di “altra” tradizione, reinterpretata in funzione della necessità religiosa dell’altare. Dal momento che l’altare cristiano è sempre sorto sulle reliquie dei martiri, le statue a cui ci si riferisce in questo altare diventano l’occasione per considerare ogni espressione artistica dell’uomo, di qualunque epoca, membra del corpo mistico di Cristo.
La fascinazione. Un’altra caratteristica dell’arte è quella di contenere e di veicolare l’ammaliamento, la fascinazione. L’appello che giunge dal divino, un appello a rispondere e posizionarsi di fronte agli eventi dell’esistenza con la propria responsabilità, contiene la fascinazione che interpella l’Essere Umano, affinché egli si domandi se e in che modo il contenuto di quell’appello lo riguardi personalmente. La fascinazione richiede, però, la capacità di distinguere quale sia l’origine della voce in essa contenuta, così da decidersi se seguirla oppure no. La fascinazione di questo altare sta proprio nella forza dirompente con la quale interroga l’Umano, trascinandolo in una serie di interrogativi ai quali non è facile rispondere. Una volta di più, nella nostra epoca non è possibile avere risposte pronte all’uso, ma anche la fede passa per un interrogativo che è necessario porsi allo scopo di dare una risposta che delinei la propria appartenenza alla fede oppure no. A tale fascinazione, non è più possibile opporre motivi formali (è un altare cattolico oppure non lo è, per fare solo un esempio), ma è necessario assumere una posizione critica che metta in discussione la propria tradizione personale.
Sotto ciascun aspetto qui considerato, l’altare di Parmiggiani è un’opera riuscita, sia da un punto di vista religioso che artistico: la fede che interpella è tuttavia una fede matura, che può essere sottoposta al vaglio di un esame interiore, capace di reggere l’urto di una seria critica. Certo, ci si potrà domandare se di primo acchito tale altare inquieti oppure rassereni, ma la risposta a tale domanda probabilmente sta solo nella qualità della fede di chi vi si avvicina. Perché un divino che non inquieti, non può considerarsi divino a tutti gli effetti, ma semplice adattamento dello spirituale che è normalmente nell’Essere Umano.