35 – Liturgia /1

Cos’è una liturgia? A un cristiano dovrebbe venire una risposta (si suppone) facile: e cioè la liturgia cristiana, quell’apparato di riti e di comportamenti improntati alla preghiera comune che… Niente di più sbagliato!

Iniziamo dall’etimologia, scendendo poi alla comprensione delle possibilità di significato, perché mai ci si può fermare a ciò che le parole significano, ma è necessario scovare anche ciò che i concetti prospettano per la crescita di ciascuno. Ebbene sì, anche la parola liturgia – che significa “azione del popolo”, dal greco laós, popolo, ed èrgon, azione – ha mutato di significato, che è diventato più che altro quello conseguente a una fantasiosa etimologia, frutto di immaginazione, per la quale la prima parte della parola, “lit”, deriva piuttosto da lìthos, pietra, trasformandosi perciò in: azione scolpita nella roccia, immodificabile, o, peggio, ancora, azione pesante come una pietra.

La liturgia, invece, è quanto di più modificabile dovrebbe esistere in seno a una religione. Ora vi spiego il perché.

Partiamo dal significato che ha in ambito cristiano: la liturgia è il codice di riti e comportamenti religiosi per esprimere la spiritualità a livello comunitario. Una prima precisazione: la comunità non è solo quella dei presenti, ma anche quella degli assenti, laddove fanno parte della comunità cristiana anche tutti i santi, tutte le persone passate a miglior vita e che continuano a condividere anche nella fase post-mortem ciò che già condividevano nella fase pre-mortem. Fanno parte della comunità, inoltre, tutti coloro che sono altrove, ma che, per l’appunto, sono in comunione. Io posso pregare nel chiuso della mia stanza o nel silenzio del mio cuore, e pregare in realtà con il resto dell’enorme comunità orante di tutta la Chiesa.

A ben vedere, però, un primo problema nel pensare la liturgia sta nel concetto di “codice”. Ciò che la tradizione ha codificato, infatti, comporta il rischio di ogni contenuto tradizionale, cioè quello di diventare una maglia di ferro, protettiva, avvolgente, ma anche pesante e, dopo un po’, pericolosa per la salute. In questo caso dell’anima. Entro quali limiti è possibile codificare ciò che è spirituale?

Quale sarebbe, inoltre, il senso di codificare qualcosa che per sua natura non può sopportare la codificazione, perché è esso stesso codice? Vedo di spiegare meglio questo passaggio.

La parola codice deriva il suo significato dalla parte interna del fusto di un albero, anche chiamata ‘liber’. Il codex o il liber erano propriamente il legno. L’uso che si fece del legno per la scrittura, ricavandone una tavoletta e cerandola, passò poi all’evoluzione della tecnologia scrittoria, designando lo strumento nel quale si fissano i contenuti tramite la scrittura. Possiamo vedere il rischio implicito nella codificazione della spiritualità applicando un ragionamento che spero appaia a tutti lineare: lo Spirito è ciò che costituisce la spiritualità vera e propria di un essere umano, il suo ‘legno’, per così dire. Ora, possiamo far diventare lo Spirito… mera spiritualità cristiana (o, se per questo, di una qualunque altra religione), rendendolo strumento/supporto nel quale si fissano dei contenuti tramite la dottrina. Lo Spirito, ciò che più identifica l’Essere dell’essere umano, diviene così un “oggetto” (mi si passi il termine) da utilizzare nelle situazioni più disparate, trasformandolo alla bisogna.

Codificare una spiritualità in una liturgia pensata come immodificabile, la sottopone a un logorio che finisce per fraintenderla, perché al termine di un percorso più o meno lungo diventa qualcosa di diverso rispetto a ciò che era in principio. Ora, la spiritualità è Spirito, come si diceva. La spiritualità è IL Principio.

Oggi, forse, la liturgia viene vissuta più come il mezzo o lo strumento che deve condurre al Principio, anziché come il Principio stesso. Ma una liturgia che non è più capace di inserire fin dal primo istante, meglio, in ogni istante, dentro il Principio-senza-inizio-e-senza-fine, non è una liturgia cui valga più la pena di concedere il nostro tempo. Se, infatti, il mio tempo personale non viene sospeso da una liturgia adeguata, capace di comunicare l’Eterno inserendomi in Esso (o, se preferite, in Lui), finirò per trovare qualcosa capace di trasfigurare altrimenti (e magari meglio) il tempo che mi trovo a vivere.

Questo, però, è solo l’inizio delle considerazioni riguardanti la liturgia. Nella prossima riflessione dedicherò qualche riga al concetto di energia: laós + èrgon, si diceva. Ebbene, èrgon vuol dire anche azione nel senso di “forza”. Al prossimo post!


2 risposte a "35 – Liturgia /1"

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