
In questo articolo parlerò soprattutto di due sentimenti spesso invalidanti: l’angoscia e la paura. Lo farò attraverso alcune considerazioni filosofiche, non psicologiche.
Durante la fase iniziale della pandemia, ho avuto modo di confrontarmi con colleghi, con familiari, con amici e con gente comune, persone incontrate nelle più disparate occasioni. Ho colto un minimo comune denominatore, ovverosia una diffusa reazione emotiva a quanto stava accadendo. Lungi dall’essere un fatto strano, la reazione emotiva è l’arma che abbiamo per prendere posizione di fronte a ciò che è nuovo. Le emozioni in cui mi sono imbattuto, tuttavia, mi hanno colpito soprattutto per la loro virulenza: provare paura e angoscia di fronte a qualcosa di minaccioso e nuovo, di fronte a qualcosa che ti obbliga a riconoscere i limiti della vita quotidiana è del tutto normale.
Provare, però, una paura che impedisce di ragionare, un’angoscia che ti spinge a vedere nero è una reazione eccessiva.
Quando la paura e l’angoscia sono eccessive, ipotecano la razionalità, che non è più libera di muoversi tra gli elementi della realtà, elementi che è necessario prendere in considerazione se si vuole continuare a scegliere liberamente, a determinare le proprie azioni in un senso che si possa riconoscere come proprio, senza che, in seguito, ci si ritrovi a dire: “Io? Ma perché mai ho fatto una scelta simile?”
L’angoscia è il senso di una mancanza fondamentale, mentre la paura è la previsione che tale mancanza possa concretizzarsi in un più o meno prossimo futuro. Ma sia l’una che l’altra sono spie di qualcosa che andrebbe preso seriamente in considerazione: la propria condizione quotidiana.
Angoscia e paura, agenti della qualità. Se una persona vivesse una vita pienamente soddisfacente sotto ogni aspetto, il che significa una vita colma di significato per ogni singola scelta che la vedesse protagonista, non avrebbe motivo di sentirsi angosciata. Potrebbe, forse, sentirsi spaventata nel caso in cui si profilasse nel futuro la possibilità di perdere qualcosa di ciò che si è/ha, oppure se temesse un qualche rischio personale. Eppure, proprio il pensiero al futuro e la qualità emotiva che lo accompagna ci segnala la qualità dell’approccio che oggi abbiamo alla vita. Mi spiego meglio.
Temere di perdere qualcosa o di correre qualche rischio in futuro indica due dati fondamentali: che oggi sono molto attaccato a ciò che temo di perdere o che oggi temo di non essere in grado di far fronte al rischio che mi si prospetta. Nel primo caso, è una questione di libertà interiore: quanto sono davvero legato a ciò che ho o a ciò che sono/mi considero? Nel secondo caso, è una questione di sicurezza interiore: quanto sono davvero sicuro di ciò che sono? La paura sollecita sempre uno di questi due aspetti: l’eccessivo legame a qualcosa/qualcuno e la difettosa sicurezza in me stesso. Ecco che, di colpo, scopriamo che la paura è una formidabile agente, posta lì a indicarmi se sto vivendo l’oggi con una qualità buona o migliorabile.
A ben vedere, però, ci sarà sempre qualcosa che ci farà paura.
In realtà, non saremo mai completamente liberi interiormente o completamente sicuri di noi stessi: potremo riconoscere in noi gradazioni di questi aspetti importanti, ma avere la pienezza, mai. Ed è qui che si inserisce il sentimento di angoscia.
L’angoscia è un altro formidabile agente per la qualità della nostra vita, che però non ci rimanda all’oggi, ma, addirittura, ci trasporta fuori dal tempo.
Questo sentimento ci pone sempre di fronte agli occhi (o rende ben presente al nostro cuore, con un peso spesso gravoso) che qualcosa continua a sfuggirci, qualcosa di così importante, da aprire una sorta di buco nero nel senso della nostra vita. Spesso confondiamo l’angoscia con la paura e la definiamo una paura molto intensa, ma non è questo. L’angoscia è più della paura, è più della mancanza: è assenza vera e propria.
L’angoscia è assenza della completezza definitiva, è mancanza di unificazione, forse memoria di ciò che eravamo prima di identificarci nel qui e nell’ora. L’angoscia è il sentimento tipico della consapevolezza di non poter essere completi.
Come fare per affrontare paura e angoscia? La risposta è la medesima che per ogni emozione o sentimento: è necessario porsi alla scuola del cuore, divenire umili alle proprie manifestazioni, imparare a conoscerle e permettersi di viverle, così da saperle riconoscere e, magari, lasciarle fluire, ascoltandole.
Le emozioni e i sentimenti necessitano di tempo, motivo per cui non si può imparare la reazione costruttiva e utile dall’oggi al domani. Quando arrivano, se non abbiamo già imparato a reagire in un modo costruttivo, paura e angoscia ci spingono a muoverci, di solito ci mettono le ali ai piedi e scappiamo. Anche immobilizzandoci. Starsene fermi è un fuggire da noi stessi e dal nostro cammino. Quante volte ho sentito dire: la paura mi blocca. Vero, la paura blocca, ma il risultato è lo stesso della fuga: allontanarsi da sé e dal proprio cammino. Fuggire e bloccarsi si equivalgono, per lo meno sotto l’aspetto della maturazione interiore.
Imparare a gestire le emozioni è un compito che viene assunto, normalmente, dalle famiglie solide e dalla scuola dell’infanzia. Dopo, solitamente c’è il nulla. Invece è un cammino che non può essere interrotto, perché ogni età ha le sue emozioni e i suoi sentimenti, ogni età ha il suo modo di vivere l’interiorità, e l’ascolto delle nostre emozioni deve essere graduale e continuo. Dovrebbe entrare a far parte dell’insegnamento scolastico, dovrebbe essere parte importante della vita quotidiana. Così si smetterebbe di fuggire alla prima occasione e anche una pandemia non ci spaventerebbe fino a questo punto.
2 risposte a "L’emozione, snodo delle narrazioni esistenziali"