Il mago

Dynamo, un mago-illusionista che ha come unico scopo quello di far divertire la gente.

Potrebbe sembrare un argomento piuttosto strano. Perché voglio parlare del mago? Innanzitutto, perché ho terminato la lettura di un meraviglioso romanzo di W. Somerset Maugham, da poco tradotto in italiano, “Il mago”, per l’appunto (Edizioni Adelphi). Poi, perché in realtà c’è qualcosa da dire che riguarda tutti noi.

Iniziamo dal romanzo. Il mago è ispirato dalla figura del più celebre occultista del Novecento, Aleister Crowley. Non starò qui a raccontarne la vita, dal momento che Wikipedia lo fa meglio di me. Tuttavia, sottolineerò solo due aspetti:

  • la sua figura e la sua azione nel mondo a inizio Novecento ha ispirato molti personaggi, alcuni perché lo hanno conosciuto personalmente o “quasi”, come Ron Hubbard (quello di Scientology), che in seguito ne prese le distanze ma che, probabilmente, ne aveva assorbito lo spirito; altri perché hanno pensato di dedicare alla “indipendenza intellettuale” (ma potremmo dire, alla spudoratezza) di questo personaggio il senso della propria ispirazione artistica (per esempio, i Beatles, Jimmy Page, David Bowie, Mick Jagger, Ozzy Osbourne, ecc.);
  • inoltre, Somerset Maugham, l’autore del romanzo, lo ha conosciuto personalmente. In seguito all’uscita del romanzo, lo stesso Crowley scrisse una critica del libro, firmandosi Oliver Haddo, come il protagonista, e accusando Maugham di plagio, avendo secondo lui utilizzato brani di altre opere.

Ciò che per me è più interessante, è l’impressione profonda e negativa che Crowley dovette fare a Maugham: nel romanzo, infatti, Oliver Haddo è descritto come un truffatore e un manipolatore di prima categoria, che gode del male provocato in quanto figura prettamente amorale o sopra-morale. Sebbene l’altro protagonista del romanzo, il medico Arthur Bourdon, faccia del suo meglio per trovare una spiegazione sempre razionale al comportamento inqualificabile e sfuggente a ogni categoria di Haddo (ancora a p. 178, nel mezzo conclamato dell’azione drammatica, il medico dice di lui che quell’uomo “deve essere matto, da ricovero”), l’interrogativo su chi sia il mago – e, potremmo generalizzare la domanda, su chi siano i maghi, non quelli da circo, ma quelli che definiscono la propria vita sulla base della ricerca magica – emerge sempre più con la sua virulenza.

Già, perché la magia è una questione seria, da non confondere con l’immagine zuccherosa e/o fantastica che ci consegna molta narrazione semplificata. Dichiaro subito la mia contrarietà a ogni pratica magica, e nel seguito di questo articolo, capirete cosa intenda dire.

La magia è una faccenda seria. La magia è, però, un argomento da non sottovalutare e da prendere in considerazione se vogliamo cogliere qualcosa di più dell’animo umano e dei desideri dell’uomo. In un saggio di filosofia che ho scritto e non ancora pubblicato, ho analizzato il modo in cui la magia propaga i propri contenuti attraverso le narrazioni e mi sono chiesto quale sia la dinamica fondamentale che spinge le persone a praticare la magia. Le risposte sono state molto interessanti. Senza entrare nei dettagli, a livello generale possiamo dire che la magia:

  • abbia come scopo l’aumento del potere da parte di chi la pratica: in un modo o nell’altro, lo scopo dell’approccio magico è quello di aumentare la consapevolezza del “mago” per uno scopo specifico, e cioè…
  • aumentare il potere di chi la pratica. Tramite la magia, il mago vuole aumentare se stesso, la propria capacità di incidere sulle cose, sugli eventi e sulle persone, così da completare ciò che sente come mancante di qualcosa, ovverosia la propria vita. In fin dei conti, l’operatore di magia ha come tutti gli esseri umani un desiderio fondamentale di completezza e di pienezza, che però vuole raggiungere attraverso pratiche simbolico-linguistiche.

Il mago mette in pratica dei rituali, frutto di una conoscenza acquisita progressivamente, con lo scopo di intervenire sulla realtà. Ma questo è esattamente ciò che fanno tutti: persone comuni, scienziati, uomini religiosi.

La differenza tra i maghi e gli altri. Dove sta, allora, la differenza? Alcuni spunti:

  • le persone comuni hanno rituali che permettono loro di controllare la realtà, di proteggersene per mantenersi in equilibrio con se stessi e con il mondo e, eventualmente, di modificarlo. Per fare un esempio banale, l’igiene personale è un rituale concreto da eseguire ogni giorno con lo scopo di mantenersi in salute e continuare ad avere presa sulla società nella quale ci troviamo a vivere.
  • Possiamo definire rituale anche il metodo scientifico, creato da Galilei, che permette di raggiungere effettivamente dei risultati (non sempre, ma molte volte sì): proprio il metodo scientifico mette in luce alcuni aspetti importanti anche per la magia. All’inizio dell’approccio scientifico c’è una teoria, ovverosia una narrazione colma di senso che risponde a una determinata logica; tale teoria è indispensabile per dirigere l’applicazione stessa della sperimentazione scientifica, perché senza teoria non c’è direzione nella ricerca. La sperimentazione aumenta sempre la conoscenza dell’essere umano sul mondo, ma non sempre tale conoscenza aumenta il potere dell’uomo sul mondo, perché non sempre a una sperimentazione consegue la possibilità concreta di modificarlo, intervenendo su ciò che lo compone.
  • La magia condivide con il metodo scientifico e la scienza moderna alcuni aspetti: il desiderio di intervenire sul mondo modificandolo; una visione simbolico-narrativa del mondo (la teoria) che permette di dirigere le ricerche in un certo senso e di comprendere qualcosa di più; l’obiettivo di portare alla luce del sole i poteri nascosti nella natura.
  • A differenza del metodo scientifico, però, la magia non ottiene risultati che siano definibili o identificabili tramite misurazione o sperimentazione, motivo per cui essa è considerata fasulla. Tuttavia, la magia non ha solo quello scopo: insieme all’aspetto pratico-concreto, infatti, la magia ha sempre teso a modificare la consapevolezza del mago e a ottenere risultati tramite le parole. La magia, infatti, si fonda quasi sempre su discorsi performativi, cioè che tendono a modificare la realtà e non soltanto a descriverla (per es. “giuro che l’ho fatto io” non descrive l’assunzione di responsabilità da parte di qualcuno, ma istituisce la paternità di un’azione, cioè modifica la realtà di me stesso, che divento colui che giura). C’è da chiederci, perciò, quante volte compiamo un atto magico: potremmo dire, molte, perché ogni volta che la realtà è ciò che diciamo, lo è perché la diciamo. Un discorso forse un po’ complicato, ma che mi serve a sottolineare un fatto importante: noi tendiamo a modificare il mondo attraverso le nostre parole in continuazione, e lo facciamo realmente. Uno degli aspetti dell’approccio magico.

La gestione del potere. Ci sarebbe ancora molto da dire, per esempio sulla differenza tra religione e magia, ma mi limiterò soltanto a una cosa che mi pare di importanza enorme: la gestione del potere.

La magia tende alla gestione diretta del potere affinché tale potere ricada sul mago e ne venga per suo tramite aumentato. Ci avete pensato? Anche la politica tende alla gestione del potere per aumentare innanzitutto se stessa o il politico che la pratica, e prima di farlo attraverso le leggi, lo fa tramite il potere performativo della parola, principale scopo del discorso politico. Potremmo dire che anche la religione lo fa. Il più delle volte è vero, ma un dato imprescindibile della religione è che di solito il sistema religioso riconosce e dovrebbe rispettare una virtù basilare, quella che il cristianesimo chiama “virtù di religione”: lasciare il potere a Dio, che ne è il legittimo detentore. Certo, ci sono sacerdoti, ci sono fedeli (ordinati o laici non cambia), e ci sono anche molte-troppe persone che non si ascrivono ad alcuna religione che amano gestire il potere in prima persona. In questo caso, non stanno facendo nulla di diverso dal mago, se non nel mezzo utilizzato e nell’approccio teorico che lo genera.

La radice di ogni ingiustizia è tuttavia il potere e la sua gestione per scopi personali. Vi lascio con questa affermazione indimostrata, ma che è comprensibile con il semplice buon senso. Prima di chiudere, però, aggiungo solo una annotazione a margine: ho l’impressione che una società in cui si gestisce il potere per gli altri e per il loro bene e non, come troppo accade, per il proprio bene e (di conseguenza) il male altrui, sarebbe una società migliore, più giusta.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...