Didattica a distanza? Chiudiamo “per inventario”

Ho trovato questa bella espressione su un libro del filosofo-psicanalista Romano Màdera: “Chiuso per inventario”, riferita, però, alla riflessione su di sé in vista di un nuovo inizio. Più che mai è necessario, anche per gli insegnanti, chiudere per inventario e capire a che punto si è.

Si chiude per inventario per fare il calcolo, il computo di ciò che si ha, per comprendere ciò che è necessario recuperare o ciò di cui bisogna entrare in possesso per poter procedere, magari in un modo rinnovato, con più energia, con maggior capacità di mettersi in moto e in discussione. La sfida che attende gli insegnanti, come d’altronde ogni cittadino, italiano, europeo, occidentale o perfino mondiale, è quella di rimettersi in discussione. Non per distruggere, anzi, per costruire: per posizionarsi in un modo diverso rispetto a quel che conoscevamo – e ancora adesso conosciamo – in modo vecchio, ormai superato. La Didattica a Distanza, o ciò che si vuol far passare con questo concetto, che sarebbe tutto da approfondire, è un segnale chiaro che molto sta cambiando e che cambierà anche in futuro. Tuttavia, come insegnanti, stiamo capendo cosa sta accadendo? Ecco alcuni, pochi spunti di riflessione che si vanno ad aggiungere a quanto ho scritto sul rischio “alienazione” e sulla possibilità di cura delle persone tramite la DaD.

Partiamo con la nota Miur del 17/03/2020, contenente le prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza. Nel capitoletto intitolato “Cosa si intende per attività didattica a distanza” si dice molto chiaramente che:

il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento.

La Didattica a Distanza non è mero invio di materiali, ma è fondamentale il confronto con gli studenti, prima, durante e dopo. Tutto ciò richiede uno sforzo notevole da parte di tutti: insegnanti, studenti e famiglie degli studenti, oltre che famiglie degli insegnanti. Ciò è vero soprattutto a partire dalle Primarie in su, mentre per l’Infanzia il carico di lavoro può essere minore. Il lavoro con la Didattica a Distanza viene moltiplicato, sebbene possa sembrare che si stia facendo di meno. Tuttavia, è proprio alla Scuola dell’Infanzia, ambito in cui lavoro in quanto IRC, che è ancora più fondamentale il rapporto (eventuale, da non dare per scontato per tutta una serie di motivi), la relazione. Relazione, snodo vitale della DaD con l’Infanzia: non la quantità di materiale, non il numero di lavori, non il senso del “dovere” di molti insegnanti, che risente ancor troppo di un sottaciuto senso di inferiorità rispetto alla “scuola dell’obbligo”; RE-LA-ZIO-NE.

Sempre la medesima nota Miur dice, al capitoletto intitolato “Progettazione delle attività”, circa la specificità delle attività svolte per l’Infanzia:

Per la scuola dell’infanzia è opportuno sviluppare attività, per quanto possibile e in raccordo con le famiglie, costruite sul contatto “diretto” (se pure a distanza), tra docenti e bambini, anche solo mediante semplici messaggi vocali o video veicolati attraverso i docenti o i genitori rappresentanti di classe, ove non siano possibili altre modalità più efficaci. L’obiettivo, in particolare per i più piccoli, è quello di privilegiare la dimensione ludica e l’attenzione per la cura educativa precedentemente stabilite nelle sezioni.

Ora: al di là del fatto che ci si chiede come sia possibile continuare ad avere a distanza – il che significa attraverso uno schermo, una macchina – la medesima cura educativa stabilita in precedenza nelle sezioni, dove si era con il corpo, in presenza fisica, a contatto; ciò che più mi colpisce è come fin dall’inizio la Ministra abbia sottolineato l’aspetto di una progettazione basata su semplici messaggi vocali, su una dimensione ludica.

Ancora troppo spesso, invece, mi capita di cogliere l’intenzione di una programmazione “come se si fosse in classe”.

Poiché tutti noi insegnanti siamo stati gettati in questa fornace della Didattica a Distanza senza che avessimo il tempo di riflettere e di conoscere lo strumento, di comprendere il modo per distanziarcene nella giusta misura, così da poterla poi usare effettivamente come un mezzo e non come il fine della nostra didattica, non si può che tentare di riflettere nel “mentre”, cioè durante la nostra stessa attività, in contemporanea alla nostra azione educativa. In sostanza, non ci si può fermare per riflettere, perché ormai il carrozzone è partito, in un modo o nell’altro. Perché non si sfasci nel tragitto, è fondamentale capire in quale modo, per esempio, stiamo reagendo all’emergenza Coronavirus. Solo così capiremo in che modo ci stiamo ponendo e stiamo utilizzando lo strumento prezioso della DaD.

Di fronte a un’emergenza enorme come quella che stiamo vivendo, vi sono tre possibili modi di reagire:

  • il modo adattativo: si cerca di fare quel che si faceva prima con mezzi diversi. Andrà tutto bene è un refrain che risponde proprio a questo modo. Si pensa quest’emergenza come se, una volta passata, tutto tornerà come prima. Bisogna perciò solo stringere i denti e, al limite, far finta che ci si trovi solo in una modalità alternativa di normalità. Una quasi normalità. Ecco che, di conseguenza, anche la Didattica a Distanza non è altro che l’attività che si faceva in classe, trasposta sul mezzo digitale. Ma in questo tipo di intervento, c’è davvero un’efficacia educativa?
  • il modo resiliente, che porta a mettere in campo energie come se fossimo “in guerra”: anche questo è un modo attuale. La parola resilienza ha un buon significato, ma lo si deve contestualizzare. Di solito è legato a una situazione di opposizione a un modo di essere, per cui il modo di essere deve continuare a emergere vittorioso. Da qui la retorica della “guerra”. Nella didattica diventa: “devo fare ancora più di prima per mostrare che sono vincente”. Ma questo approccio serve più ai bambini, che spesso sono già inseriti in situazioni familiari complicate per mille motivi diversi, soprattutto in questo periodo, oppure serve a noi insegnanti? Forse necessitiamo di questo approccio per dimostrare qualcosa a noi stessi (che siamo bravi, che siamo all’altezza della situazione, che sappiamo affrontare tutto, che possiamo essere considerati dei lavoratori assidui, che siamo efficaci-efficienti?), e la Didattica a Distanza risponde, così, a bisogni del “corpo”, non dell’anima. Il riconoscimento, il successo, l’efficacia-efficienza sono beni relativi al corpo, relativi all’aspetto più esteriore di noi, ben diversi da quelli dell’anima, della nostra parte più vera e profonda, che sono, per fare alcuni esempi, la comprensione di ciò che siamo, lo sviluppo dei nostri talenti, la crescita di quella pianticella che è ogni bambino che ci viene affidato.
  • poi c’è il modo “anti-fragile”: il modello anti-fragilità supera il livello quantitativo del cambiamento (faccio di più di quel che facevo prima, faccio di meno di quanto mi viene richiesto), che è sempre fondato su rapporti di forza (per noi insegnanti: i rapporti di forza insegnanti-dirigenti e/o insegnanti-famiglie), pervenendo a un cambiamento qualitativo. Ciò che è importante in quest’ultimo modello, è il riconoscere innanzitutto le proprie fragilità e, insieme, le fragilità delle persone cui ci rivolgiamo.

Nel modello antifragilità, il punto non sta nel reggere bene i colpi e non subire danni, o nel dimostrare che siamo bravi ed efficaci ed efficienti, ma sta nel progredire grazie alle fragilità che riconosciamo in noi. Solo le nostre fragilità ci permettono di riconoscere le fragilità altrui, e in questo periodo ne abbiamo più che mai bisogno. Riconoscere le nostre fragilità, per esempio che abbiamo bisogno di essere riconosciuti come insegnanti, come educatori bravi e affidabili, ci può permettere di non caricare i nostri studenti e le loro famiglie di pesi eccessivi e assurdi, soprattutto per un motivo: i nostri bimbi-ragazzi e le loro famiglie sono i primi-le prime a pagare lo scotto di questa emergenza. Per motivi economici, per motivi di capacità di connessione, per motivi di emotività e di interiorità, per preoccupazioni e/o occupazioni le più varie.

Non si tratta, perciò, di evitare o superare pericoli o traumi fingendo che tutto vada bene e che perciò possiamo fare, bene o male, ciò che facevamo quando eravamo in classe, ma usare l’energia derivante dalla forza del cambiamento, senza subirlo, ma creando nuove possibilità di senso. Il punto di partenza non può che essere una riflessione generale e generalizzata, fatta da tutti. Continuiamo a fare ciò che facciamo, certo, ma riflettiamo. E per la scuola? Soprattutto noi dell’Infanzia, facciamo un passo indietro circa la quantità, e favoriamo la qualità della relazione, in modo particolare cercando di favorire quella interna alle famiglie.

Comprendere le loro fragilità o mostrarci come ascoltatori delle loro problematiche, senza volerle risolvere a tutti i costi, è già un grandissimo passo verso un nuovo tipo di educazione.


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