Inizio con questo post il Dizionario delle parole usurate, una serie di riflessioni sulle parole più utilizzate, più comuni, ma anche più svuotate del loro significato. Voglio pensare, così, che sia possibile restituire loro la dignità di cui godettero un tempo. Inizio con questa.
Libertà. La parola deriva dal latino libertas, che è la condizione che si raggiunge per il fatto che il diritto riconosce che non sono servus. A Roma, infatti, si trattava di uno dei due poli della contrapposizione uomo libero – uomo schiavo.
Libertà è ritrovarsi nella condizione di non dover rendere conto del diritto di qualcun altro. Eppure, che libertà è quella che mi mette nella condizione di non dover tenere conto della libertà di qualcun altro? Non siamo noi, nella nostra società, soggetti a un altro concetto di “libertà”, laddove si dice normalmente che la mia libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro?
La nostra libertà non è un concetto assoluto (ab-solutus, slegato da qualunque cosa), ma è sempre limitata: dagli altri e dalla loro presenza-volontà; è limitata dalla nostra volontà; è limitata dalla realtà delle cose, materiali e immateriali, dalla società e dalle sue aspettative su di noi, dai limiti del nostro corpo e della nostra volontà fallace, che in continuazione desidera e vuole cose che non siamo in grado di portare a compimento come vorremmo.
La nostra libertà trova il limite più importante in ciò che le permettiamo di subire. Insomma, la nostra libertà non è affatto assoluta, ma è sempre limitata.
La libertà non ha ovviamente nulla a che fare con quella libertà di determinarci attraverso cose esterne: sono libero se posso comprare questo o quest’altro; sono libero se posso scegliere questo o quel partito; sono libero se ho questo o quest’altro e se, non avendolo, so di poterlo avere. No, la libertà è tutta interiore o, forse, è principalmente interiore. “Sii solo e sarai tutto tuo”, diceva Leonardo. Il suo non era un insistere sulla solitudine, ma sull’essere pienamente in possesso di se stessi. Ma anche questa che il grande genio ci indica, è vera libertà? O non è, piuttosto, il dramma che la libertà vive quotidianamente nel tentativo di essere assoluta?
In che modo agiremo la nostra libertà, perciò? In che modo decidiamo di agire, quando ci siamo resi conto che la libertà è sempre limitata? Confermando questi limiti, sottoponendoci previamente a un limite che non vorremmo? Saremo noi a costringere la nostra libertà a essere limitata, oppure cercheremo di essere liberi malgrado i limiti che la nostra libertà vive?
La libertà non può convivere con delle scusanti: per essere agita, è necessario ipotizzare che essa sia pienamente libera, e il limite sempre presente deve diventare solo un orizzonte sullo sfondo del quale noi agiamo. Solo così potremo scoprire di quanta libertà saremo capaci.
Per essere pienamente se stessa, la libertà ha bisogno di una scommessa utopica: che essa sia davvero assoluta. Altrimenti, non siamo nemmeno disposti a porci nell’ordine di idee che qualcosa di libero sia veramente possibile.
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