Trasmissione inversa /3

51GOJ4R0NKLBuongiorno a tutti. Eccoci per il terzo piccolo appuntamento riguardante il nuovo horror Trasmissione inversa, pubblicato da Dunwich Edizioni. Qui potete acquistarlo.

Il V numero della cosiddetta Cthulhu Apocalypse prende il titolo da un segnale televisivo che porta chi lo coglie, anche inavvertitamente, a eliminare se stesso e i suoi cari nel modo peggiore possibile. Il tutto, con uno scopo ben preciso. Eccovi un altro brano… d’atmosfera. È tratto dal capitolo 17.

Attraversando il lungo corridoio, passammo davanti al sog­giorno, dove campeggiava un televisore ancora acceso su un canale privato. Qualcuno vendeva paccottiglia. Superammo l’accesso per proseguire verso la camera da letto. Sulla destra c’era quella matrimoniale. Due corpi, un uomo e una donna, erano ancora sotto le coperte. Le braccia erano fuori e, mentre quelle della donna erano lungo i fianchi, quelle del marito era­no sul petto.
Rimasi fermo sulla soglia della camera, mentre Paolo entra­va. La luce centrale era accesa, ma forse la sua abbagliante freddezza all’interno di un locale con le tapparelle abbassate mi smosse la paura ancestrale che quei due potessero rialzarsi all’improvviso. Erano morti, ovviamente, ma avevano ancora gli occhi spalancati.
«Dio!» esclamai. «Cosa gli è successo?»
Paolo era a metà strada tra me e loro. «Non lo capisci?»
«Ho capito che sono morti, ma per cosa?»
«Non lo sappiamo. Al momento l’unica ipotesi è infarto. En­tro la serata, avremo i primi ragguagli dal medico legale. Ab­biamo fatto fare innanzitutto degli esami tossicologici. Ma non è tutto qui.»
Provai a entrare nella stanza come aveva fatto Paolo, ma non ci riuscii. Qualcosa mi obbligava a stare fuori. Mi fidai di quanto mi diceva lui. «Infarto?»
«Potrebbe essere ma, come ti dicevo, non è l’unica opzione.»
«Ma il medico legale sarà già stato qui… cosa ha detto?»
«Conferma che, per essere più sicuri, deve avere i corpi per fare l’autopsia. Non appena te ne sarai andato, li farò portare via.»
Mi scostai dall’ingresso e feci un passo indietro. «Andiamo, allora.»
Paolo mi guardò perplesso.
«Così possono fare il loro lavoro», conclusi.
«Non è finita qui, ti dicevo. Seguimi.»
Paolo uscì e mi precedette verso un’altra stanza. Altri due letti. Due ragazzi, questa volta. Una bambina sui dieci anni aveva gli occhi spalancati, ma le pupille erano rovesciate, mo­strando il bianco della cornea. Tra le mani stringeva ancora un diario, proprio sopra il cuore. L’altro, era un ragazzo sui dodici anni. Mi fece tenerezza pensare che dormivano ancora assieme. A differenza della sorella, lui aveva gli occhi chiusi.
«Sono tutti morti d’infarto?» chiesi. Com’era possibile? «Forse è stato del gas… una caldaia…»
«Non c’era gas quando siamo entrati e la caldaia è sul balco­ne. Ho il sospetto che siamo i primi ad aver messo piede qui da ieri notte. Il sospetto è nato quando i loro insegnanti ci hanno chiamati per dirci che non erano andati a scuola. E adesso pro­va a leggere cosa ha scritto la bambina. Proprio sulla pagina in vista del diario…» Paolo mi fece segno di prenderlo pure in mano. «Sono già state fatte tutte le foto del caso.»
Ma non lo presi, forse per una sorta di rispetto o forse perché non desideravo toccare quella cosa a contatto con la morte. Semplicemente, lo aprii con le dita lasciandolo sul grembo del­la bambina e lessi quella frase.
Era scritta con una grafia che mi parve indecisa, non troppo chiara ma nemmeno brutta.
Mamma dice che ha paura e io ho più paura di lei.


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