Non possiamo non trattare questa parola, nel periodo in cui il passato sembra tornare con il suo carico di angoscia e di preoccupazione, sotto un’accezione che credevamo esserci lasciati alle spalle.
Come sempre, la prima cosa che faccio è chiedermi quale sia il significato della parola guerra. Secondo il vocabolario Treccani, la guerra è 1) un conflitto aperto e dichiarato tra due o più Stati od organizzazioni (ed è il caso della guerra che la Russia ha mosso contro l’Ucraina), conflitto che può essere caldo, cioè condotto militarmente, oppure freddo, cioè condotto tramite atti ostili o minacciosi che però non sfociano nello scontro caldo (come nel caso della corsa agli armamenti tra le superpotenze per raggiungere un livello di deterrenza dell’aggressione altrui); la guerra è anche 2) un conflitto interno a uno stesso Stato, per esempio come nel caso della guerra civile, dove due o più fazioni della popolazione si combattono per ottenere un riconoscimento o raggiungere un obiettivo di qualche tipo (è il caso della guerra che i partigiani fecero in Italia contro altri italiani che avevano aderito al fascismo); infine, la guerra è 3) una serie di atti ostili tra due o più persone o gruppi, come può essere l’ostilità della criminalità organizzata contro le forze dello Stato (o viceversa) o l’ostilità informativa volta a denigrare un gruppo specifico della popolazione di un Paese (come può essere la guerra di disinformazione all’interno di una problematica più ampia, pandemia, recessione economica, impoverimento sociale, ecc.).
Si va, perciò, da una sfera ampia, quella della guerra tra Stati, alla sfera più ristretta, quella della guerra tra gruppi interni a una popolazione, passando per una situazione ibrida, quella della guerra vera e propria portata all’interno dello Stato nella contrapposizione tra due o più parti della stessa popolazione.
Eppure, c’è da riconoscere un ulteriore livello, che non possiamo non definire guerra vera e propria. Alcune religioni la definiscono guerra santa. Non ha a che fare con l’esteriorità, ma è tutta interiore.
La guerra, infatti, può essere guardata sotto la luce di una polarità fittizia, quella tra esteriorità e interiorità della persona. Non c’è nulla, tuttavia, che abbia valore solo per l’esteriorità della persona. Ogni accadimento, a ben vedere, riguarda anche l’interiorità, quando più e quando meno. Ciò, però, accade sempre.
C’è una guerra tra due Stati, come nel caso attuale della Russia e dell’Ucraina? Ebbene, non si può fare a meno di prendere una posizione. In qualche modo ci sentiamo coinvolti, interpellati personalmente nel tentativo di capire. Ci sentiamo minacciati, oppure preoccupati per le sorti di una popolazione che crediamo essere la vittima sacrificale sull’altare di qualcuno, oppure ancora tifiamo per l’aggressore, trovando ottime motivazioni per giustificarlo in ciò che ha deciso di fare. In ogni caso, la guerra ci interpella, richiama qualcosa che alberga in noi: l’esteriorità mostra il suo volto interiore, parlando alla nostra vita.
C’è una guerra civile? Ci sentiamo ancora più intimamente coinvolti, perché ci rendiamo subito conto come un simile conflitto potrebbe accadere a ciascuno di noi, potrebbe pioverci addosso per motivi che in un primo momento sentiamo estranei, per poi riconoscerli poco alla volta come attinenti anche alla nostra esistenza. Fate caso alla guerra in Kosovo: quanti si sono sentiti interrogati personalmente perché il conflitto riguardava – tra le altre cose – la contrapposizione tra due popolazioni di religione differente, cristiana e musulmana? Oppure, guardate alla guerra nel Donnbass, in corso da otto anni: quanti, alla diffusione della notizia di questa guerra civile già presente su territorio ucraino, non si sono sentiti interpellati sotto il riguardo del diritto di autodeterminarsi, che riteniamo sacrosanto? In fin dei conti, sono questioni che in Italia erano già salite in superficie quando la Lega iniziava la sua propaganda per l’invenzione della Padania e gridava di volere una Padania libera. Ricordate?
Il livello per me più importante è, però, quello più intimo, quello più casalingo, per così dire: la guerra tra gruppi della popolazione su determinati argomenti, quella guerra che viene condotta con la forza della disinformazione o della negazione di realtà fattuali. Si tratta di un conflitto continuo che è, in realtà, un conflitto a noi interiore ancor più degli altri livelli. Quando qualcuno diffonde una falsa notizia, sta diffondendo una falsa narrazione della nostra vita. Quando qualcuno nega fatti realmente accaduti, sta facendo un affronto alla nostra identità personale. Quando qualcuno si comporta in modo del tutto irrazionale, affidandosi soltanto alla corrente delle proprie emozioni, richiama la nostra emotività, rinfocolandola con pericolosi moti istintivi, che magari tanto difficilmente eravamo riusciti a integrare nella nostra personalità.
Dal livello più ampio a quello più intimo, la guerra è una dimensione della realtà che non possiamo allontanare, in alcun modo, perché la guerra più ampia e territoriale è sempre un riflesso della guerra già presente dentro di noi. Anche la guerra tra gruppi o fazioni della stessa popolazione, non fa altro che rimandare al contrasto sempre esistente in noi stessi tra emozioni e logica, tra cuore e testa, tra viscere e razionalità.
La cura dell’anima, la guerra santa (che è tutta interiore), la giusta battaglia, il conosci te stesso è l’obiettivo più alto che possiamo pensare per l’essere umano, affinché possa un giorno evitare le guerre più ampie e cruente. Si tratta di un obiettivo irraggiungibile?