Quando si leggono le Fonti Francescane, si ha spesso la sensazione che Francesco d’Assisi avesse davvero colto ogni aspetto dell’esistenza delle persone, passate e presenti, così come le sfumature più recondite dell’animo umano. In modo particolare, questo accade nella cosiddetta Regola di vita negli Eremi, dove il santo umbro fornisce (al nr. 136) un’indicazione molto particolare sul fare da madri:
Coloro che vogliono condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri ed abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri seguano la vita di Marta, e i due che fanno da figli quella di Maria.
Francesco d’Assisi, Regola di vita negli Eremi
Avrebbe potuto dire “facciano da padri”, sottolineando la necessità di una cura spirituale, l’ammaestramento in una disciplina ascetica che ha sempre bisogno dell’indicazione di guardare verso l’alto, direzione tipica del maschile che c’è in ogni persona. Eppure, non credo sia casuale – anzi, penso del tutto voluto – questo riferimento al femminile di ogni persona: San Francesco invitava a guardare ai bisogni, perché nell’eremo si facesse anche esperienza della concreta umanità nella quale si è incarnato Nostro Signore.
Non solo: vi è in quelle parole un invito esplicito a lasciarsi guidare come figli, figli di due madri… che sono frati. Uomini. Potrebbero sembrare elementi di una teologia queer, ma non è nulla di tutto questo.
Se l’invito di San Francesco è queer, lo è nel senso che mette in luce una divinità del Signore sempre al di fuori degli schemi, improntata alla differenza, come solo il santo di Assisi – che chiamava fratello o sorella anche ciò che normalmente consideriamo inanimato – sapeva fare. Nulla di strano, perciò, perché già nei Vangeli Sinottici, sollecitato dai suoi familiari a uscire dal cerchio della folla cui sta parlando, è Gesù stesso a sostenere che “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Matteo 12,46-50). È una vera e propria contrapposizione alla famiglia considerata in senso ingenuo, come costruzione fondata sul legame di sangue tra moglie, marito e figli. Qui Gesù sta dicendo qualcosa di dirompente: la famiglia è costruita sulla volontà del Padre attuata dalla persona, non da deboli legami di sangue. San Francesco, alter Christus, farà altrettanto.
Il brano cui abbiamo appena fatto riferimento, rimanda a molti altri del Nuovo Testamento, nei quali si dice come sia necessario rinascere da Spirito Santo: nella Prima Lettera di Giovanni (3,9) si utilizza perfino una terminologia che nelle traduzioni perde buona parte del suo spessore: “Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio.” Si tratta di una generazione reale, non considerata in senso strettamente spirituale, ma una rinascita nel corpo e nello spirito. Quel germe divino che rimane in noi, è reso in greco con la parola σπέρμα, spérma, inteso qui come liquido seminale divino, che feconda e che porta la vita. Si tratta di una trasformazione totale della persona, efficace, concreta, perché reale e concreto è il seme divino che rimane nell’uomo battezzato. È proprio questo germe divino a renderci capaci di Dio, a permetterci di partorire Dio ogni giorno come se fossimo madri.
D’altronde, lo Spirito Santo che rende feconda Maria di Nazareth affinché metta al mondo l’incarnazione del Logos, è quello stesso Spirito che ci rende capaci di diventare madri a nostra volta. Uomini e donne.