Inutile menare il can per l’aia: morale ed etica sono due parole che vengono spesso utilizzate come sinonimi. Sfido qualcuno a trovare differenze sostanziali tra i due termini. Eppure, se ci sono due parole, devono per forza esserci due ambiti diversi di significato.
Guardando all’etimologia dei termini, pare sia stato il buon Cicerone (che tanto ammirava la cultura greca) ad aver coniato la parola moralia, derivandola, per imitazione di ethikos (derivazione di ethos, carattere), da mos-moris, costume. L’antropologo A. Kroeber (detto per inciso, padre della grande scrittrice Ursula K. LeGuin) dice riguardo all’ethos che non sia tanto il codice specifico, etico o morale della cultura, ma piuttosto la “sua qualità d’insieme, ciò che nell’individuo corrisponde alla propria disposizione, al proprio carattere. L’ethos si riferisce al sistema di ideali e di valori che domina la cultura e che tende a condizionare il tipo di comportamento dei suoi membri” (Anthropology, 1923; rev. ed. 1948). Già qui vediamo una commistione di significati che sembrano riguardare sia l’uno che l’altro termine.
Sappiamo bene come alla parola morale diamo dei significati diversi, i più variegati. Ripercorriamoli in breve. Alla fine segnalerò un significato che, secondo me, dovrebbe avere la parola.
Un primo significato della parola morale riguarda ciò che ha a che fare con la scelta pratica delle persone: scelgo il bene o il male? Tale scelta, solo per fare un esempio, è una scelta morale.
Un secondo significato della parola morale è frutto di un conformismo diffuso: ciò che è condiviso dalla moralità generale, cioè da ciò che generalmente viene ritenuto giusto, è a sua volta morale. Devo dirlo, non un significato che mi stia particolarmente simpatico, perché è complice del conformismo.
Un terzo significato della parola morale è in qualche modo sinonimo di intimo, come di una legge che è valida soprattutto a livello interiore: è un obbligo morale, per esempio (il che vuol dire né più né meno che è un atto dovuto). Ma quanto è davvero interiore, intimo, personale questo genere di moralità?
Il significato più generale ha a che fare, come dicevamo, con qualcosa che viene condiviso da tutti, con una visione comune di come dovrebbero andare le cose. Ciò, a mio parere, non è quanto di meglio ci si possa aspettare dall’umanità, perché tale senso della parola “morale” fa riferimento alla storicità delle manifestazioni umane, che, lo sappiamo, si sviluppano e si modificano sempre. Si spera, oltretutto, che tale sviluppo vada sempre in una direzione propizia a quelli che consideriamo i valori tipici o migliori dell’umanità. Ma cosa succede se la morale comune vira pericolosamente, come è già successo in epoche storiche differenti dalla nostra, verso lidi razzisti, esclusivi, identitari e/o settari?
Esiste, però, un significato più alto della parole “morale”: un senso che fa riferimento all’impianto mistico della realtà.
Possiamo cogliere questo significato quando facciamo luce dentro di noi, quando impariamo non solo a guardarci dentro, a puntare lo sguardo verso quell’interiorità di cui parlava Agostino nelle Confessioni, ma anche a fare silenzio e a lasciare che parli qualcun altro. Se riusciamo a cogliere ciò che il Divino sempre presente in noi sussurra con voce di vento leggero, allora possiamo imparare a seguire un Maestro interiore che ci abita, e che non è altro che Dio (o la Divinità, se preferite). Seguendo questa voce interiore, che non corrisponde per forza di cose con la voce della coscienza (ma già sarebbe un bel traguardo riuscire a muoversi prevalentemente sulla base della propria coscienza!), seguendo questa voce andremmo progressivamente verso quell’unificazione con gli altri che costituisce la meta di ogni approccio mistico alla vita.
La parola morale, sotto la luce della mistica significa proprio questo: divenire sempre più se stessi, riscoprendo il divino che c’è in noi.