Siamo arrivati alla festa dell’Epifania, che tutte le feste si porta via, si diceva un tempo. Scopriamo qualcosa in più del senso di questa giornata.
Befana è parola che deriva, per corruzione, da epifanìa, manifestazione, ovvero la manifestazione del Figlio di Dio, Cristo, in Gesù incarnato. In realtà non c’è differenza tra il Natale e l’Epifania, sono solo diversi momenti temporali di un’unica festività, riguardante la manifestazione di Cristo sulla Terra. E allora, da dove viene l’usanza di brusar la vecia, come accade qui a Verona e in altre zone d’Italia?
La sua storia è intrecciata con quella dei Re Magi che, secondo la tradizione, nel loro cammino verso Betlemme persero la strada, videro in lontananza il fumo di un camino, si diressero in quella direzione e trovarono una casetta. Bussarono alla porta e andò loro incontro una vecchina che tuttavia si rifiutò di aiutarli. Una volta partiti, però, la donna si rese conto di aver sbagliato, così uscì di casa per raggiungerli. La vecchia, cercando di raggiungere i Magi, si fermava di casa in casa donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.
Ci sono senza dubbio rimandi a un paganesimo antecedente, legato alla terra e all’abbondanza che si sperava essa donasse, ma ci si ferma qui: bruciare la vecia è una ritualità di tipo esorcistico, non certo legata alla donna (ricordo che la strega – ipotetico rimando della befana – è visualizzata anche con tratti maschili, quali la barba), ma al rinnovamento insito nella Luce che illumina il mondo.
E i Re Magi? Che fossero tre risulta dai vangeli apocrifi, fonte preziosa per molti aspetti tradizionali del cristianesimo. Ma cosa rappresentano?
L’aspetto forse più importante di queste figure “magiche” della tradizione cristiana sta proprio nella loro magia e nel suo significato, soprattutto in seno a un’epoca, quella dei primi due secoli della nostra era, nella quale essa andava acquisendo sempre maggior peso anche nell’ambito della filosofia, non solo della vita quotidiana. E qui sta il clou, per così dire. In un’epoca incerta, come era quella dei primi secoli dell’impero romano, si cercava sicurezza nelle nuove religioni o in culti antichi. Questo fu uno dei motivi per cui il cristianesimo ebbe subito molto seguito e anche uno dei motivi per cui la magia torno così tanto in auge, fino al punto da essere considerata uno sviluppo naturale della filosofia neoplatonica a partire dal III secolo, cosa che in passato non era mai accaduta.
I re Magi incarnano la sapienza antica ed è la sapienza antica che si mette in moto per andare a cercare il salvatore del mondo.
Essi rappresentano proprio questa ricerca di sicurezza in una sapienza ulteriore, più alta di quella terrena, che vada al di là dei limiti del mondo. Questi tre personaggi comprendono che sta per nascere qualcuno di fondamentale attraverso la lettura dei segni ed è proprio il cielo a condurli da Gesù. Non a caso, il famoso dipinto del Giorgione intitolato I tre filosofi (che ho messo come illustrazione di questo post), raffigura molto probabilmente nient’altro che i tre re Magi.
I doni che i re magi portano a Gesù, riconducono la festa del Natale a quella più importante e fondamentale per il cristianesimo, cioè la festa di Pasqua: l’oro, l’incenso e la mirra sono i doni giusti per un re (ma Re, e Re dell’universo, Gesù sarà riconosciuto soltanto con la risurrezione), per un Dio (e sappiamo come Gesù verrà riconosciuto quale Figlio di Dio da un centurione – un altro pagano – ai piedi della croce) e per un defunto (la mirra era quel balsamo che veniva usato per inumare i corpi).