Molte persone mi chiedono spesso quale sia la differenza tra “integralismo” e “fondamentalismo”. In effetti, credo che i due termini abbiano bisogno di essere annoverati nel Dizionario della parole usurate, così da poterne scoprire per lo meno il principale significato, più profondo e pervasivo di quanto si possa immaginare.
Iniziamo con l’integralismo, che indica l’applicazione all’intero orizzonte del proprio vivere sociale e personale, dei dettati di un movimento religioso o culturale, di una visione politica o sociale, nella convinzione che quel modo di pensare e di affrontare le cose sia il migliore da poter utilizzare nella complessa società odierna in cui viviamo.
Attenzione, però, perché detta così, si potrebbe confondere l’integralismo con una sorta di coerenza ferma e decisa di fronte alle differenze che il flusso culturale (liquido, se vi piace la terminologia coniata dal sociologo Bauman, perché in continuo cambiamento) propone senza posa. La coerenza, tuttavia, è fondata su un criterio critico fondamentale, che mai può essere messo da parte.
Un altro elemento dell’integralismo è, infatti, la tendenziale “assenza di analisi critica” di fronte alla variazione rispetto al proprio pensiero. Ogni pur minima differenza viene vista con sospetto per il semplice motivo che non corrisponde al modello cui ci si ispira. È talmente marcata, questa assenza di analisi critica, che in effetti non si può nemmeno parlare di “proprio pensiero”.
La cosa interessante, da un punto di vista storico, è che noi occidentali siamo così abituati, oggi, ad additare l’Islam come religione foriera di integralismo, da non immaginare nemmeno che l’integralismo religioso è nato, invece, in seno al cristianesimo.
Cito dall’enciclopedia Treccani online:
L’origine del concetto e l’uso di identificarlo con una particolare concezione del cattolicesimo sociale e politico vanno ricondotte all’età della Restaurazione (1815-30) e alla formazione del movimento dell’ultramontanismo che, tracciando un quadro cupo della società, contaminata dalle conseguenze della rivoluzione industriale, e invocando il ritorno alle istituzioni della società medievale, considerate dai suoi seguaci come le sole capaci di garantire la felicità dei popoli, proponeva una visione storica e una filosofia politica sul cui modello si formò gran parte del pensiero cattolico del 19° secolo. In tal senso, il ritorno al passato si configura come una forma di autentico i. che si esprime sia nella forma di un’opposizione alla democrazia sia nel sentimento di nostalgia della cristianità medievale cui si guarda come l’età dell’oro.
Come disse qualcuno, un paio di millenni fa, “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Lc 6,41).
Ci sarebbe, in ogni caso, molto da dire: per esempio di come l’integralismo sia un atteggiamento che si sta ormai diffondendo a molti ambiti del nostro modo di pensare; di come l’integralismo sia un modo sempre più diffuso di affrontare ogni singolo problema nasca nella nostra società; di come chi è integralista non si renda conto, di solito, di esserlo, e per l’appunto accusi della propria malattia qualcun altro.
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