Horror, dove sei? – parte seconda

bigsur3_levin_rosemarysbaby_cover1Per esempio, si trova nel bellissimo romanzo di Ira Levin, Rosemary’s Baby. Ho letto in giro per la rete che qualcuno ne fa, tutto sommato, una lettura confortante. In fin dei conti, la madre Rosemary, tanto ingenua per gran parte del romanzo da credere e giustificare fino in fondo l’operato dei vicini – che pure le avevano fatto venire dei dubbi, con quei canti stonati guidati da uno zufolo che provenivano da di là del muro – e da non prendere a ceffoni un marito sempre troppo distante e distaccato, al termine del romanzo non decide di prendersi cura del bambino, pur essendo figlio di Satana? Tutto sommato, vuole salvare la sua parte umana, no, o quel poco che ne rimane?

Ecco, è qui che ci trovo la confusione. Il romanzo di Levin non è per nulla confortante, non può esserlo in alcun modo. Anzi, proprio la decisione di Rosemary di tenere il bambino, e di tenerlo vivo, ha a che fare con ciò che costituisce il lato di più aperta denuncia del romanzo: basta trovare le giuste motivazioni, e siamo in grado di accettare qualunque cosa. Perciò passi che i vicini fanno parte di una setta che prepara l’arrivo dell’Anticristo (sembrava gente così per bene, in fin dei conti…), passi che il marito sia sempre più assente (è il suo lavoro che lo tiene tanto occupato), passi che il figlio sia brutto come può esserlo l’incrocio tra un essere umano e una lucertola o giù di lì: in fin dei conti, ha ancora metà parte umana. La si può salvare.

No, signori miei: l’horror va preso per ciò che è. A volte nulla si può salvare, e Rosemary doveva schiantare il bambino sulla strada gettandolo giù dalla finestra del settimo piano, come le era venuto il desiderio di fare in un attimo di sano istinto, questo sì veramente umano. Perché Satana quando prende, prende tutto e non si può scendere a patti. Ecco dove sta l’horror denunciato da questo romanzo: la nostra società è tale da farci passare qualunque cosa. Tutto va bene se si maschera, talvolta, da umanità.


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