Negatività e positività sono due di quelle parole che non ho mai sopportato, perché dall’apparenza troppo new age e usate in modo spesso superficiale. Eppure, oggi voglio parlarvi della prima e del suo corretto significato.
Negatività, dal verbo negare, cioè “dire di no”. Ma a cosa si dice di no? Alla vita, fondamentalmente, e alle sue proposte. La negatività è un approccio generale alle cose, agli eventi, alle possibilità, e spesso non ci si rende conto di quanto sia incisiva.
Della negatività ci accorgiamo soprattutto quando ne vediamo l’estremo risultato: la depressione. È fuor di dubbio che la depressione clinicamente intesa sia una malattia in buona parte fisiologica, e che perciò abbia bisogno di un adeguato supporto, almeno parzialmente risolutivo, che sia farmacologico. Tuttavia c’è l’altra metà del mal di vivere: l’attitudine a vedere le cose con “negazione”, cioè agendo attraverso un “no” anziché attraverso un “sì”.
Il togliersi, il negarsi progressivo, l’eliminazione della vitalità e delle sue ricadute positive sul nostro essere sono spesso frutto di una negatività diffusa.
Che – lo ripeto – non è il semplice concetto che ci è consegnato dalla società dei consumi, per la quale chi è negativo è colui che, molto semplicemente, non concorre alla produttività. “Dai, non essere così negativo”, ci si sente dire, il che vuol dire sostanzialmente “dai, agisci e cambia la tua vita”. In altre parole: sii produttivo per te stesso e per gli altri.
Negatività e positività, però, non hanno nulla a che fare con la produzione e con il successo, né con la soddisfazione personale, o per lo meno, non in prima battuta. La negatività, visto che è di questo concetto che parliamo, ha a che fare più che altro con la tossicità di una situazione.
Quando sentiamo parlare di relazioni tossiche, di famiglie tossiche, di amicizie tossiche, di luoghi di lavoro tossici, intendiamo tutte quelle situazioni che si sviluppano all’interno di una nube che ci impedisce di respirare fino in fondo, e che poco alla volta ci conduce a rattrappirci su noi stessi, a rinchiuderci in un mondo che ci aiuti a isolarci da quella tossicità. Ecco, il concetto di tossicità è molto simile, se non sovrapponibile, a quello di negatività.
Dalla negatività ci si deve difendere: lo si può fare in due modi. O alzando uno scudo verso tutte quelle persone o quelle situazioni che percepiamo per l’appunto come tossiche, e a volte farlo può essere doloroso oppure molto difficile (se non impossibile), o imparando a lasciarsi – al limite – attraversare da quella negatività, senza trattenerla in noi, ma lasciandola scorrere fuori. Si tratta del risultato di una disciplina quotidiana, ma nessuno e niente costringe qualcuno a farlo, non è obbligatorio dover sopportare la negatività altrui.
Quando, perciò, entriamo a contatto con la negatività sapendo di non saperla gestire, allontaniamocene, stiamone alla larga: se sapeste che una stanza o un luogo è radioattivo, forse ci entrereste? La stessa cosa facciamo per la salute del nostro animo, del nostro essere. Salvaguardiamo la nostra vita dalla negatività (leggi: tossicità) altrui.