Per diventare scrittore – 5

Foto di Dmitry Ratushny

Con tutto ciò che avevo vissuto fino a quel momento (e che ho racconto in modo particolare nella fase 4), la mia motivazione per proseguire sulla strada dello scrittore era ai minimi livelli. Sentivo gli impedimenti subiti come parte di una volontà estranea che mi suggeriva di smetterla.

Non si trattava solo di demoralizzazione oppure di una sorta di disistima, ma di una vera e propria opportunità. Il problema principale era che non la coglievo nella sua pienezza, per lo meno non con la ragione. Da un lato mi sentivo spronato a far meglio e a dare di più. Scambiavo, tuttavia, la convinzione di poter dare di più con la possibilità di ottenere di più. Il do ut des, però, nell’arte non funziona mai.

Non si scrive per ottenere qualcosa: si scrive per dare qualcosa.

Dentro di me si era, invece, creato un corto circuito tra l’una e l’altra cosa. Questa è una conseguenza specifica della nostra società, che ci induce a credere che non sia “sano” fare qualcosa in maniera totalmente gratuita. Lavoro, fatico? Ebbene, ho diritto a una “retribuzione”. Questo modo di pensare nasce nel commercio – di merci o di servizi è ininfluente – e si è allargato all’arte, fino a invadere anche il campo d’azione dell’umanità, di ciò che è “umano”, empatico, altruistico. In modo particolare la società occidentale ha sviluppato la convinzione che ogni cosa che si fa, debba avere infine un corrispettivo.

Se c’è un ambito espressivo che non funziona per nulla secondo la regola del “do ut des” (io ti do qualcosa per avere in cambio qualcos’altro), è proprio quello dell’espressione artistica, e la scrittura indubbiamente lo è.

La principale conseguenza degli impedimenti vissuti era, perciò, una riflessione generale sul perché scrivessi. Mi resi conto, ammettendolo con riluttanza e sgradevole consenso, che fino a quel momento avevo scritto per “essere riconosciuto”. Davo qualcosa – la scrittura, e anche tanta – per ottenere riconoscimento, che diveniva il mio “des”. Capirete, perciò, come il rischio di questo modo di pensare, diffusissimo e, per fortuna, non solo mio (mal comune mezzo gaudio, si dice), fosse che il riconoscimento si trasformava nel principale carburante delle mie motivazioni, così che quando questo carburante iniziò a essere scarso, i motori cessarono di funzionare.

Nessuno di noi, grazie a Dio, funziona con una sola motivazione: considerando i carburanti che ci spingono a muoverci, fortunatamente funzioniamo a compartimenti stagni. Se una camera va a fuoco, ce n’è un’altra, con un carburante nuovo e diverso, che continua a funzionare. Riconoscere questa dinamica prevalente mi permise di dare maggior respiro ad altre motivazioni, prima tra tutte a quella artistica. Volevo esprimere la visione di bellezza che avevo sul mondo, motivo per cui continuai a scrivere, sebbene non più narrativa.

Cambiai campo, non solo genere. Avevo provato il fantasy, il romance, l’horror e la fantascienza. Malgrado i grandi sviluppi della mia tecnica narrativa, avevo giudicato inutile proseguire così, e decisi di coltivare un ambito della mia visione del mondo che possedevo fin dalla giovinezza: quello filosofico. Mi dedicai a scrivere saggistica filosofica.

Può sembrare una deviazione importante, un abbandonare una strada che ci ha delusi per intraprendere qualcosa da cui potremmo ottenere ulteriore riconoscimento, cioè quel carburante primario che abbiamo già giudicato negativamente. Ma la filosofia fu (ed è) per me il modo più sincero e vero di leggere cosa mi abita, per tentare di esprimerlo nel modo più costruttivo e condivisibile possibile. Ed è qui che sta il salto positivo.

Grazie al passaggio di campo, dalla narrativa alla filosofia, ho avuto la possibilità di riconoscere quanto fosse asfittica la mia prospettiva precedente e di quanto avessi invece bisogno di aprirmi alla piena sincerità personale. Solo tramite la scoperta della mia visione piena del mondo, è stato quindi possibile effettuare il passaggio definitivo a un modo maturo di scrivere, che però vi racconterò nel prossimo post, dedicato alla “sincerità”.

Qual è l’insegnamento che vorrei condividere con voi, al termine di questa quinta fase? Che per riformulare l’idea della nostra scrittura e dello scrittore che siamo, c’è spesso bisogno di abbandonare la via segnata per solcarne una nuova.

Ci rivediamo tra qualche giorno, con il nuovo post sulla sesta fase. Se invece vuoi leggere la quarta fase, clicca pure qui.


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