Per diventare scrittore – 2

Dopo la prima fase, dedicata alla costruzione della mia idea di me stesso in quanto “manipolatore e conoscitore di parole, di narrazioni e della possibilità di gestire le emozioni e la razionalità attraverso il racconto”, iniziò una fase nuova, quella della creazione di grandi storie.

Tutto partì dall’incontro e condivisione con i miei amici di università. Francesco, Elisabetta e Giuseppe. Ci si trovava, si scriveva più o meno tutti, si condividevano gli studi – tra filosofia e letteratura – e poi si andava al bar, ogni settimana, anche due o tre volte per settimana, a leggere e condividere le nostre idee. Eravamo una sorta di Inklings, e chissà, forse a loro ci ispiravamo quando narravamo dei mondi che creavamo. Per lo più eravamo io ed Elisabetta. Francesco e Giuseppe ascoltavano, con grande pazienza, ma anche con grande attenzione e dovizia di consigli. Si cresceva assieme e assieme veniva cementata una capacità di esporsi alla critica altrui.

Non era facile ascoltare ciò che gli altri avevano da dire sulle nostre fatiche letterarie, tanto più che, si sa, mai si dovrebbe dare in pasto al lettore uno scritto prima che esso sia perlomeno concluso, non dico completato e perfetto sotto ogni aspetto. Ma c’era voglia di confrontarsi, c’era voglia di crescere e di diventare come i nostri eroi letterari.

L’imitazione letteraria è stata il punto di partenza per questa seconda fase e, in qualche modo, ne ha anche esaurito la portata.

Mi spiego meglio. Ogni scrittore si forma leggendo moltissimo, ma vi sono degli autori che vengono prediletti sugli altri. I miei, l’ho sempre detto, sono stati Salgàri, Asimov, Tolkien, Herbert, Crichton, e ovviamente molti altri. Gli autori horror vennero solo dopo. Tra tutti questi, però, solo alcuni avevano avuto la capacità di spingermi a inventare, a mia volta, mondi, e cioè Salgàri e Asimov. Crichton, invece, agì in un altro modo.

Divoravo i suoi romanzi, li trovavo estremamente fantasiosi nella modalità abile e sapiente di unire informazioni scientifiche e avvincenti trame tra il thriller e la spi-story. Aveva una scrittura fluidissima e una capacità di accattivare l’attenzione e l’intenzione del lettore tra le più efficaci. Io volevo imitarlo, in tutti i modi possibili, e mi ci mettevo di buzzo buono per ottenere una scrittura altrettanto fluida. Lo studiavo, studiavo il modo di raccontare i personaggi presentandoli attraverso i dialoghi e gli intrecci. Studiavo il modo di utilizzare le informazioni scientifiche, approfittando delle nuove teorie per creare scenari da brivido e volevo fare lo stesso. Imitare Michael Crichton era per me un importante campo da gioco, nel quale avrei potuto sfoderare ogni arma possibile per ottenere l’effetto che volevo ottenere. Scrissi ben due romanzi – ovviamente non pubblicati e quasi impubblicabili – attraverso i quali raggiunsi soprattutto due obiettivi:

  • imparai a scrivere davvero in modo scorrevole, padroneggiando la lingua così da tenere il lettore legato a quanto dicevo,
  • diedi, inoltre, corpo alle tematiche che più sono presenti nei romanzi scritti fino a oggi: la morte, l’amore, l’aspetto fantastico della vita e la razionalità che deve fare i conti con l’irrazionale.

Se devo indicare, dunque, quali siano i motivi che rendono fondamentale questa seconda fase, elencherei i seguenti:

  • per sapersi confrontare con la critica e il punto di vista del lettore, spesso diverso da quello dell’autore,
  • per imparare l’umiltà della scrittura, alla quale l’autore deve sempre piegarsi se vuole ottenere qualcosa di leggibile,
  • per scoprire la bellezza della condivisione, perché una storia nasce nell’intimo e nel segreto del cuore, ma viene poi offerta a tutti, diventando di tutti (e meno del suo autore),
  • per affinare gli strumenti in propria dotazione. Perché uno scrittore può anche essere nato con il talento della narrazione, ma se non lo smussa e non lo fa crescere, se non lo lima e non lo indirizza in continuazione, il talento è destinato a rimanere sopito.

Il talento è materia inerte. Non funziona da solo, non costruisce storie senza che gli si debba dare aiuto. Il talento di Michelangelo sta in tre posti diversi: nella sua testa, nelle sue mani e nel marmo.

Allo stesso modo, il talento di uno scrittore sta nella sua testa, nel suo cuore e nello spazio invisibile che lo separa dalla carta.

Anche questa fase, durata fino al 1998-99 (perciò 4 o 5 anni molto intensi, soprattutto se messi a confronto con i 12-13 della precedente), venne a esaurirsi, e questo accadde quando l’imitazione non mi bastò più, quando mi resi conto di scrivere copie di romanzi, sebbene li trovassi tutto sommato molto originali. La seconda fase termina quando ti rendi conto che hai finalmente trovato una tua voce originale. Ma questo è racconto del terzo post, tra qualche giorno.


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