41 – Competenza

In ambito scolastico è diventata la parola chiave per affrontare la didattica e predisporla, così da far crescere al meglio gli alunni e permettere loro di tirar fuori il meglio delle proprie abilità. Inoltre, essa è il fulcro del nuovo modo di pensare il lavoro.

Se ci fermiamo a interrogarci su cosa sia competenza, tuttavia, le risposte iniziano a moltiplicarsi. Già a partire dall’etimologia della parola ci si può rendere conto di come si tratti di un concetto un poco sfuggente, e si dà il caso che sia tanto sfuggente nel suo punto iniziale – cioè nel suo etimo – quanto nel suo punto finale, cioè l’eventuale valutazione della competenza stessa.

Per una società che richiede sempre più competenza, per una società che richiede che ciascuno sia capace di fare il “suo” e non molte altre cose, per una società sempre più fondata sulla settorializzazione delle conoscenze, il concetto di competenza diviene fondamentale, imprescindibile, tant’è vero che le programmazioni scolastiche sono sempre più indirizzate a tale categoria, fin dalla Scuola dell’Infanzia: e non esistono più solo le competenze specifiche delle materie, ma da qualche anno si propongono anche delle competenze “europee”, che nient’altro sono se non delle linee comuni di indirizzo formativo, sulle quali condurre l’educazione delle persone.

L’etimologia della parola. Già dalla sua etimologia, è possibile vedere come la competenza, però, non sia un qualcosa di ben definito. La parola deriva dal latino competentia, derivato a sua volta da cum-petere, che significa “andare insieme” o “far convergere verso un unico punto”. Ed ecco la prima questione:

  • si tratta di un lavoro di squadra, di una capacità di più persone che camminano verso una certa direzione,
  • oppure si tratta di più cose o più elementi o, se vogliamo, più conoscenze che si dirigono verso un punto comune?

Nel primo caso, si mette in luce una collaborazione necessaria, perché il livello di competenza sarebbe il risultato dell’unione delle persone e delle loro capacità. Nel secondo caso, invece, può trattarsi anche di elementi soggettivi e interni alla stessa persona, conoscenze, abilità, capacità (quello che a scuola viene chiamato il “saper fare”) di mettere insieme, di far dialogare i vari elementi per ottenere un quadro d’insieme, un’azione definita, risultanza dei vari elementi ridotti in sintesi.

La differenza tra i due approcci ermeneutici è piuttosto rilevante, perché nel primo caso si sottolinea la necessaria collaborazione, mentre nel secondo si dà la possibilità che le competenze, afferenti ai singoli individui, possano entrare in competizione (parola derivante dal concetto di competenza). Due modelli differenti di società: collaborativa o competitiva. Quale si sceglierà? Soprattutto: chi la sceglierà, l’individuo formato o l’insegnante che educa?

La valutazione della competenza. Quando, poi, si guardi all’aspetto valutativo, quando, cioè, sia necessario capire se una competenza è stata acquisita oppure no, si scopre che non vi è un metodo specifico, perché a seconda dell’ambito nel quale ci si muove, la competenza può anche essere estremamente difficile da cogliere. Facciamo alcuni esempi.

  • Un musicista ha la sua competenza: questa è facile da cogliere e valutare, perché se si chiede a un violinista di suonare, la sua capacità di farlo coincide con la competenza, sebbene vi possano essere livelli differenti di competenza acquisita. Ci può essere il violinista bravo, il violinista bravissimo, quello perfino virtuoso e creativo, ma anche quello scarso e incapace di portare a termine una semplice melodia. La valutazione di competenze strumentali – cioè legate all’utilizzo di un dato mezzo – è relativamente facile.
  • Anche un impiegato ha la sua competenza: il dipendente di una banca o dell’ufficio postale dev’essere in grado di eseguire tutta una serie di operazioni e di dare tutta una serie di risposte che il cliente si aspetta da lui (e ovviamente è discutibile cosa un cliente possa aspettarsi da un bancario o da un dipendente delle poste), operazioni e conoscenze che, in genere, sono stabilite da elenchi di prestazioni minime. Lo stesso dicasi per chi esegue lavori manuali (bidelli, personale amministrativo di un ente, operai, tecnici di laboratorio e non, ecc.). Anche in questo caso la valutazione è relativamente facile: se sei capace di risolvere quel problema, sempre ammesso che si tratti di un problema sottoposto alla persona giusta, allora sei competente per l’ambito di riferimento.
  • Uno studente ha la sua competenza: sebbene possa sembrare impossibile stabilire quale sia questa competenza, lo si fa con alcune diciture generiche che si riferiscono all’atteggiamento dello studente, come, per esempio, essere disposto a imparare, tenere un certo comportamento nei confronti di sé e degli altri (compagni, insegnanti e strutture), sviluppare certe capacità pratiche e intellettive. Quando però si tratta di valutare, iniziano qui seri problemi, dovuti soprattutto a tre fattori:
    • l’efficacia dell’ambiente di apprendimento, che può essere più o meno accentuata (una cosa è imparare in un ambiente confortevole e protetto, un’altra è imparare in una piazza con il via vai di gente che continua a distrarre, solo per esemplificare due estremi, che però sono sempre meno estremi nella scuola del giorno d’oggi);
    • l’efficacia dell’insegnamento, che dipende dalle abilità educative dell’insegnante (insieme di metodologia, predisposizione e mezzi culturali posseduti) che convergono, per l’appunto, in una competenza di insegnamento;
    • la predisposizione dell’alunno, che dipende da vari fattori, tra i quali la sua voglia di imparare, la sua capacità intellettiva, eventuali condizionamenti caratteriali e/o familiari.
  • Un insegnante ha la sua competenza. Al posto dell’insegnante, però, potrei inserire tutte quelle categorie di persone che hanno a che fare con la realtà immateriale delle persone o dell’universo: psicologi e psicanalisti, curatori filosofici, pensatori di vario genere, educatori di vario tipo, sacerdoti, scienziati, ecc. È indubbio che da queste persone ci si aspetti una grande competenza, perché li si ritiene, a torto o a ragione, soggetti particolarmente importanti per lo sviluppo e la crescita “spirituale” della società. La scuola è talmente importante per la società, si sente spesso dire. Quanto alla possibilità di valutazione, però, come la mettiamo? Come si valuta se un insegnante è bravo? Da quanto è amato dagli studenti (o, peggio, dai genitori)? Da quanto gli studenti imparano? Da quanto gli studenti diventano bravi? Da quanta parte del programma viene messa in pratica? Da quanti progetti vengono proposti a livello educativo? Cosa può dirci la capacità di un insegnante di essere insegnante? In sede di esame concorsuale vengono valutate una serie di capacità metodologiche, di metodi educativi e di predisposizioni personali, ma non certo la capacità del singolo (futuro) insegnante nel far crescere una persona… perché è aspetto impossibile da valutare. E questo vale per tutte le altre categorie che, in un modo o nell’altro, possono essere ricondotte alla fattispecie dell’insegnamento o che hanno a che fare con la crescita interiore delle persone o con lo sviluppo prospettico della società. Come è possibile valutare la competenza di questi soggetti?

Eppure, sempre più si parla di misurazione del merito, di riconoscimento del merito anche per queste categorie. Sempre più si pretende di poter esprimere un giudizio sull’efficacia o meno degli insegnanti e di altre categorie, le cui competenze, però, non si misurano sull’immediato e nemmeno in modo oggettivo, ma sul lungo periodo e solo per alcuni destinatari.

Un insegnante, infatti, può essere il più bravo per un ragazzo e il peggiore per un altro, semplicemente perché è riuscito a entrare in sintonia con il primo e in contrasto con il secondo, oppure perché il primo ragazzo è stato capace di accogliere gli insegnamenti, mentre il secondo si è opposto con tutto se stesso (e, chissà, a causa della famiglia inadeguata oppure dell’edificio scolastico problematico).

Insomma, molto si sta puntando sul concetto di competenza, pretendendo oltretutto di valutarne la presenza, senza chiedersi a sufficienza quale sia l’opzione di fondo della competenza stessa: collaborazione o competizione?


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