Poveri insegnanti!

Quando ascolto trasmissioni alla radio nelle quali si affrontano i problemi italiani, problemi attuali e che necessitano di una immediata soluzione, la scuola è tra le situazioni più citate. Di solito, in senso negativo.

Purtroppo lo è in malo modo. Vi si fa riferimento come a un ambito che va sempre e comunque sistemato. Di solito, c’è la visione preponderante di una scuola che, per fare un esempio legato a quest’anno di pandemia, non è un servizio adeguato e che si è ritrovata a rimanere chiusa quando altri Paesi hanno fatto diversamente. Oppure, a voler essere buoni, molti giornalisti e/o intellettuali sostengono che la scuola superiore non ha praticamente funzionato per metà anno e che, addirittura, gli insegnanti della scuola pubblica devono imparare a concedere un po’ di più e a lavorare al di fuori dei propri schemi abituali. Cosa non funziona in questo modo di vedere il lavoro che noi insegnanti tanto amiamo?

Primo: molto semplicemente, la scuola non è rimasta chiusa, se non in pochi casi. La chiusura vera e propria, è avvenuta forse per un mese, quando la pandemia si diffondeva, laddove non si sapeva esattamente come reagire all’emergenza. Fin dall’inizio, tuttavia, si è approntata una didattica di emergenza. Si è trattato della ormai famigerata DaD, la “didattica a distanza” che altro non era che, per l’appunto, una modalità emergenziale cucita in fretta e furia da insegnanti volenterosi (e molto, altro che insegnanti che non hanno voglia di lavorare!), per mettere delle toppe a una rete didattica alternativa che mai era stata pensata in precedenza, tantomeno approntata.

Se le scuole sono passate al digitale nell’arco di qualche mese, è stato per la buona volontà degli insegnanti, non certo dello Stato (che è arrivato dopo) o del significativo apporto di giornalisti pronti a puntare il dito.

È vero, il risultato è stato piuttosto discutibile, e io stesso ne ho parlato molto male, perché è mancata in modo particolare una riflessione previa che preparasse gli insegnanti a fare del loro meglio. Potete leggere i miei interventi qui.

Aspetto più importante, però, è che la Didattica a Distanza è continuata per le superiori e per tutte quelle classi che hanno dovuto chiudere a seguito di positività riscontrate. 

Ora, si potrà dire tutto quello che si vuole sulla didattica a distanza (o Didattica Digitale Integrata, come viene chiamata adesso che, almeno in teoria, si dovrebbe essere più organizzati) e io stesso – lo ripeto – l’ho fatto con toni molto duri; si potrà, inoltre, indagare circa la sua capacità didattica, per forza di cose ridotta rispetto a quella della didattica in presenza, ma dire che questi insegnanti non hanno lavorato, è cosa francamente insostenibile. 

Qualcuno mi spiega, perciò, perché il primo provvedimento di un nuovo governo, un Governo Draghi, dovrebbe essere quello di prolungare l’anno scolastico di due settimane? Esattamente cosa risolverebbe? Quale idea di scuola e quale giudizio sulla classe docente italiana si nasconde dietro una simile decisione?

Vogliamo davvero sostenere che lo sforzo di milioni di italiani sia stato tanto inutile da dover recuperare in fretta e furia qualcosa che non sarebbe stato fatto, sospinti dall’ondata salvatrice del nuovo governo? Non si tratterebbe certo di un buon inizio.


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