Si tratta di una delle questioni più ambigue del cristianesimo. Il concetto di dèmone affonda le sue radici nell’antichità e si è caricato di grande simbolismo.
Quando pensiamo al dèmone, facciamo fatica a distinguere tra le sovrapposizioni concettuali che ne hanno modificato il significato rispetto a ciò che si pensava nell’ebraismo e, poi, nel cristianesimo. Le stratificazioni risalgono ai tempi babilonesi, per poi passare a quelli greco-romani ed ebraici. Vediamo di distinguere un po’, almeno dal punto di vista storico.
Una prima distinzione: il dèmone non corrisponde al demonio e i due non corrispondono al satana (sì: il satana, tra l’altro minuscolo). Inoltre, né il dèmone né il demonio né satana sono uguali al diavolo. Infine, Belzebù non è il satana. Stupiti?
Satana è l’avversario, il nemico. Per questo motivo è un nome “comune”, richiede l’articolo indeterminato “un”. Era una qualifica che veniva data a chi si opponeva: nel Secondo libro di Samuele si legge “Che ho io in comune con voi, o figli di Zerulà, che vi mostrate oggi miei satana [avversari]” (2 Sam 19,23). Ma anche Gesù dice a Pietro “Vade retro me, Sàtana” (in gr. épage opiso mu, Satanà), perché gli oppone un ragionamento umano anziché seguirlo nella sua logica divina (Mc 8, 33).
Satana, però, è anche parte della corte di Dio Re. Basta leggere ciò che dice il libro di Giobbe 1,6: “Un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi davanti a Yahwé e anche il satana andò in mezzo a loro”. Ma come: il suo avversario si annida nella sua famiglia? No, perché in origine il satana non era visto come il nemico, ma solo a livello simbolico come l’accusatore: era una sorta di funzione divina, difficilmente distinguibile dalla decisione divina. Un lato oscuro dello stesso dio. Sto parlando dell’Antico Testamento, non di preistoria o di lontani (da noi) miti arcaici. Lo stesso Dio contiene una parte di oscurità che non è possibile espungere in alcun modo, perché ogni ragionamento che possiamo fare su di Lui, a partire dalla nostra esperienza di tutti i giorni, non può che portarci a immaginare che in quella immensa luce vi sia anche oscurità, che la nostra ragione non riesce ovviamente a conciliare con un bene così grande.
Se infatti da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?
È sempre il libro di Giobbe a dirlo, non io: capitolo 2 versetto 10. Ma il senso ultimo di questa parte “satanica” di Dio è il voler abbattere l’idea semplicistica (degli antichi, ma in fin dei conti anche nostra) che se ci comportiamo bene, non possiamo che riceverne bene da Dio (o da chi per lui: il mondo, la natura, il caso, metteteci quello che volete, non cambia il risultato, crediamo sempre allo stesso modo e facciamo fatica a cambiare). Nell’Antico Testamento era chiamato concetto della retribuzione e per quanto Gesù abbia dato la buona novella che Dio è amore e che tutti siamo salvi, non riusciamo a togliercelo dalla testa.
Poco alla volta, la figura del satana si allontana da quella del giudaismo iniziale, per trasformarsi sempre di più nel responsabile di tutti i mali, che fa di tutto per ostacolare i rapporti tra Dio e il suo popolo. Secondo il Talmud tre sono le funzioni del satana (cito dal libro Gesù e Belzebù, di Alberto Maggi, Cittadella Editrice 1999): “sedurre gli uomini, accusarli dinanzi a Dio e infliggere così la pena di morte. E sono tre le circostanze pericolose nelle quali il satana compare come accusatore: quando una persona sta in una casa malsicura, quando cammina in una strada solitaria e quando intraprende un viaggio di mare. Divenuto sinonimo di ogni situazione negativa, il termine satana veniva impiegato anche per indicare l’angoscia”.
Per oggi ci fermiamo qui. Nel prossimo post vedremo la differenza tra dèmone e demonio.