Il simbolismo dell’inferno – Sabato santo

Discesa-di-Gesù-agli-Inferi-Duccio-di-Buoninsegna-740x493Gesù è morto e, secondo la tradizione, è sceso agli inferi per liberare i progenitori. Simbolo, realtà, verità?

Innanzitutto, un approccio metodologico: la morte richiederebbe silenzio, sia della voce che della logica, perché la morte è il “buco” della logica umana e dell’esperienza vitale. Lo stesso andrebbe fatto per la morte di Cristo, perché Cristo è morto davvero. Non è morto per finta, o per modo di dire.

La tradizione ha posto nel sabato santo tutta una serie di attività di Cristo che, nell’arco del periodo della sua morte, sarebbe disceso all’Inferno per liberare i progenitori che ancora non lo avevano conosciuto. O, addirittura, avrebbe predicato alle anime in carcere (1 Pt 4,6). In che modo va intesa, allora, questa attività?

Quando mai un morto è attivo? La morte è la massima passività concepibile. Tutto può essere fatto al cadavere, perché il cadavere non fa più nulla. E il corpo di Cristo, è stato cadavere anch’esso? Bisogna rispondere senz’ombra di dubbio di sì.

In che modo Cristo sarebbe stato solidale nella morte degli uomini, se egli stesso non fosse morto realmente? Ciò implica che, durante la sua morte, Gesù sia stato morto e del tutto passivo, come chiunque altro. Perciò, durante la morte egli era in quell’abisso nel quale finiscono tutti. Un abisso di passività, nel quale non è possibile alcuna azione e nel quale non esiste più identità.

Però, è forse possibile comprendere l’attività dello scendere agli inferi e del liberare i progenitori e del predicare alle anime in carcere in un altro modo: la totale passività, la vera morte di Cristo permette che la sua vita precedente continui a produrre i suoi effetti, nell’attesa e nel compimento della sua Resurrezione. La predicazione alle anime in carcere sarebbe perciò quella di quando era in vita, che adesso, durante la sua morte, produce i suoi effetti, e la sua discesa agli inferi – altro modo per dire: la sua morte – sarebbe stata anticipata dalla sua totale partecipazione alla pochezza e alla disperazione umana, e che adesso trova l’effettivo compimento con la sua morte, che è la sua discesa agli inferi.

Le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa: proprio grazie alla morte di Cristo, morte dalla quale egli viene tratto dall’unica Persona attiva di tutta questa faccenda, ovvero Dio Padre, l’inferno non può prevalere sulla Chiesa, laddove la Chiesa è il corpo di Cristo. Si potrebbe dedicare un intero lungo articolo a come il corpo-di-Cristo-che-è-la-Chiesa sia da considerare nel vero senso del termine e non solo in un senso figurato, ma non è questa l’occasione. Il corpo di Cristo, ovvero Cristo stesso, sarà reso di nuovo vivo da Dio Padre. Implicitamente, è la Chiesa stessa a essere resa viva da Dio Padre per il tramite del suo Spirito vivificatore in Cristo, Figlio.

L’inferno è perciò il silenzio totale, la mancanza di presenza, la mancanza di attività propria, l’impossibilità del dire, l’assenza del legame che tiene in vita. E Gesù Cristo ha vissuto tutto questo, da quando è morto a poco prima di risorgere. È talmente importante credere fino in fondo che Cristo sia morto davvero, e non per modo di dire, che è necessario affermare che, in questo modo, Egli ha vissuto la vera morte, come tutte le persone perdute nella dimenticanza dello Sheol.


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