Ci si potrebbe chiedere in che rapporto si trovino tra loro cristianesimo e alchimia, dal momento che la seconda si è sviluppata soprattutto nell’epoca in cui il cristianesimo si strutturava in modo più solido tramite Riforma e Controriforma. Per capirlo, continuo a seguire Psicologia e alchimia, di Carl Gustav Jung.
Ecco un brano tratto da pag. 33: “Il cristianesimo ha elevato l’antinomia di bene-male a problema universale, e mediante la formulazione dogmatica del contrasto ne ha fatto un principio assoluto. In questo conflitto attualmente non risolto, l’uomo cristiano viene posto come un protagonista del bene, e come personaggio del dramma universale. […] Il bene è l’equivalente dell’incondizionata imitazione di Cristo, il male un’impedimento di questa”.
Cosa può far sì che l’uomo abbracci il male e che gli impedisca, così, di farsi imitazione di Cristo? Presto detto, nulla di esterno a sé (come d’altronde già diceva Gesù), ma “sono le debolezze morali e l’inerzia degli uomini che più di ogni altra cosa ostacolano l’imitazione, e proprio per queste il probabilismo ha una tolleranza pratica, che in certi casi può maggiormente corrispondere a indulgenza cristiana, a mitezza, ad amore per il prossimo, di quanto vi corrisponda l’animo di coloro che non vi vedono che leggerezza e mancanza di impegno”.
Detto in parole povere: ci si nasconde dietro una facciata di accoglienza fasulla, per giustificare in qualche modo la propria mancanza di vigore nella lotta contro il male. Ecco che entra in campo uno dei paradigmi di Jung, il Sè (in tedesco, Selbst):
“Con ciò si verifica un avvicinamento all’archetipo psichico del «Selbst», nel quale anche questo contrasto compare unito, e dunque, in modo dissimile al simbolismo cristiano che lascia aperto il conflitto. Per quest’ultimo c’è uno «spacco» che attraversa il mondo: la luce lotta contro la notte, e l’alto contro il basso. Questi Due non sono Uno, come nell’archetipo psichico. […] Il dogma insiste invece sul fatto che Tre è Uno, mentre protesta contro il fatto che Quattro sia Uno. È noto che i numeri dispari, fin dall’antichità e non soltanto da noi in Occidente, ma anche in Cina, sono maschili, quelli pari invece femminili. Da ciò risulta che la Trinità è una divinità esplicitamente maschile; l’androginia di Cristo e la particolare posizione e venerazione della Madre di Dio non ne costituiscono un pieno equivalente. Con questa constatazione che forse al lettore potrà sembrare strana, arriviamo ad un assioma centrale dell’alchimia, e precisamente all’assioma della Maria Prophetissa: «L’Uno diventa Due, il Due diventa Tre, e dal Terzo diventa l’Uno come Quarto»”. (pag. 34)
Potrà apparire un brano duro ai più, ma fa leva sul significato simbolico dei numeri, partendo dal concetto che la Trinità è costituita, come sappiamo, da Padre Figlio e Spirito Santo ma che la Madre di Dio non vi ha posto – così come non da lei dipende la salvezza dell’uomo – e che perciò non può divenire Quaternità.
Alle cifre dispari del Dio Uno e della Trinità, che è comunque Uno, fanno da contraltare le cifre pari: la Dualità del rapporto maschio e femmina in Cristo stesso e nella relazione tra il Figlio e la Madre di Dio, e la Quaternità di un’aggiunta psichica della Madre stessa alla realtà trinitaria. Ovvero, la psiche fa ciò che il dogma non può fare.
L’assioma di Maria Prophetissa è il leit motiv di 1700 anni di alchimia e da lì nasce qualunque ulteriore sviluppo alchemico e lo sviluppo della Grande Opera.