Tema sempre controverso, negli ultimi decenni, quello della presenza della figura paterna per i figli. In passato del tutto immerso in una crisi alla quale sono stati dedicati centinaia di film, oggi il rapporto padre/figli (spesso figlio maschio) è al centro di altrettante centinaia di film, che si ripropongono di riscoprirlo e rivalutarlo, dal momento che sta effettivamente accadendo un rovesciamento di quella assenza che ha (forse) segnato milioni di ragazzi.
Per la breve riflessione di oggi, però, non vorrei affidarmi a un film ma a uno dei momenti topici di uno degli ultimi musical di Andrew Lloyd Webber, uno dei più importanti compositori degli ultimi decenni. Sto parlando di Love never dies, seguito (piuttosto fallimentare) del celeberrimo Fantasma dell’Opera, tratto dal testo di Gaston Leroux. Il musical non ha avuto molto successo, e dopo un paio d’anni di serate e matinée è stato soppresso da Londra. Peccato, dico io, perché a fronte di una sceneggiatura che con ogni probabilità non era all’altezza del più famoso antecedente, la musica era straordinaria, come non succedeva da molto tempo al nostro compositore inglese.
In modo particolare, vorrei riferirmi a questa scena del musical, durante la quale il Fantasma scopre che Cristine ha tenuto nascosta per ben dieci anni la vera paternità di suo figlio al Fantasma stesso. Nei brani Beautiful e The Beauty Underneath (che potete vedere e ascoltare nel video qui sotto a partire dal minuto 23:12) la musica riesce a trasmettere l’emozionante stupore, colmo di splendore e di rivitalizzante verità, che il Fantasma vive quando ritrova in quel bambino la propria genialità, il proprio germe vitale, e in qualche modo si sente rinascere. Davvero una scena spettacolare nella sua grandiosità e nella sua dolcezza, ma che presto si trasforma in un ritmo serrato, caratterizzato da una frenesia e da un’ossessione tipica del Fantasma (che, ricordiamolo, nel primo musical aveva ucciso un bel po’ di gente per le sue proprie motivazioni e follie…) che lentamente si trasferisce al figlioletto. Ed è qui che sta il punto che vorrei sottolineare.
A volte ci sono ottime motivazioni per cui le madri mettono in campo una saggezza in certi casi antica, che è quella di sottrarre i figli ai propri padri, e il più delle volte la motivazione è proprio perché c’è l’enorme rischio che i figli maschi possano diventare troppo come i propri padri. Lo so, è di certo un argomento impopolare, ma credetemi, lo vedo giornalmente al lavoro. Il padre gli dice: “Benvenuto nel mio mondo” ed è realmente orgoglioso di poter mostrare il proprio mondo interiore al figlio e spera che egli possa rispecchiarvisi e possa diventarne parte (“my world is beautiful” gli dice, mostrando gli orrori che ha accumulato), perché è l’unico modo per il “maschio” di prolungare se stesso verso l’eternità. Quando si tratta di ottenere questo, spesso l’uomo non bada a mezze misure e – eventualmente – al carico di aggressività e “violenza” insita (e camuffata da “siamo padre e figlio”) in tale rapporto. E quando questo accade, tutto può crollare e declinare verso la tragedia senza che ci si renda conto che le cose stanno andando così, almeno non prima che la tragedia inizi a manifestare i suoi dati. Proprio come accade nel musical e nel suo tragico (e forse troppo melodrammatico e improvviso) finale.