Da tempo volevo farlo, ma il tempo a mia disposizione purtroppo scarseggia, sempre di più. Comunque, eccomi qui.
In questo breve articoletto, mostravo come la struttura di Il viaggio nel Masso Verde (con l’aggiunta dei primi capitoli di La faida dei Logontras) fosse precisamente quella di una fiaba, secondo le funzioni individuate da Propp. Ovviamente la cosa non è a caso: sono un assertore convinto che l’inizio di ogni mito affondi nel fiabesco e che il fiabesco sia l’humus nel quale ogni genere di narrazione trova il suo nutrimento. Perché il fiabesco non è la favoletta, e non è nemmeno la fiaba edulcorata da Perrault. Piuttosto, preferisco le versioni italiane, che sono quasi tutte quelle originarie, con riferimento al corpus di Basile e alla favolistica delle varie regioni della nostra penisola. In Storia di Geshwa Olers si fa riferimento a moltissime favole e ad altrettante fiabe, e questi riferimenti non sono mai casuali né privi di riflessione: anzi, sono scelte effettuate dopo studi approfonditi, con variazioni sul tema. Perché chi vuole fare letteratura, deve saper rileggere i materiali conosciuti per darne una versione capace di parlare a ogni cuore e a ogni mente. Non si tratta solo di citazioni o di omaggi, ma di vere e proprie riletture, veicolanti nuove giostre di senso.
Per fare un esempio, la favola che all’inizio del romanzo Nonna Bilette racconta a Geshwa, intitolata Il taglialegna e la grande quercia, è la rielaborazione di tre fiabe differenti: una fiaba tipica della Lessinia, nella quale il taglialegna veniva addormentato per evitare che abbattesse l’albero, una fiaba Estone, nella quale il taglialegna entra a colloquio con l’albero, e una favola di Esopo, nella quale il dio Ermes vuole provare l’onestà del taglialegna. La fusione delle tre fiabe mi ha portato a creare la nuova versione (la cui versione integrale è inserita nel primo tomo di Appendici), nella quale l’onestà del taglialegna viene testata dalla grande quercia e suo figlio ottiene, attraverso prove di vario genere, una vita lunga e fortunata.
Leggende e miti attraversano tutto il volume (così come quelli successivi), in un rincorrersi di rimandi che solo un occhio allenato è capace di cogliere (mi duole dirlo, ma solo pochi “critici” sono stati in grado di farlo, e solitamente non erano “critici” ufficiali, ma semplici appassionati lettori). Dall’implicito riferimento alle streghe del Mago di Oz (i tre Maghi a inizio volume, ognuno designato con un colore diverso… verde vescica, blu oltremare e rosso fiammante), alle Torri della Magia che richiamano le torri magiche della magia tradizionale, dalla lettura dei segnali animali come corvi e altri uccelli (ricordate l’ornitomanzia greca o, per venire a oggi, gli uccellacci di Hitchcock e quelli di Stephen King della Metà Oscura?) all’esistenza dei folletti come esseri che accompagnano o intersecano in vario modo la vita della persone.
Proprio riguardo ai folletti e agli gnomi coi quali Geshwa ha a che fare, posso dare giusto un paio di riferimenti: in Italia abbiamo decine di folletti. Io ne ho selezionati solo 20 per trasformarli nei Venti Regni Sotterranei. Quello che incontra Geshwa, Harang (poi trasformato in Haront quando viene messo a traghettare le Presenze dei defunti verso il Regno di Makut… ricorda qualcos’altro, per caso? Sì, il riferimento alla scena descritta da Dante nella sua Comedia è diretto, così come la struttura dell’Inferno che si propone in uno dei testi delle Appendici tomo I), è un Augure, mentre lo Gnomo che segue lui e suo padre mentre a cavallo attraversano il Masso Verde è un riferimento diretto a Erlkönig, ballata di Goethe che racconta come un padre corra a cavallo, ignaro che il Re degli Elfi sta minacciando suo figlio, malgrado i continui avvertimenti di quest’ultimo.
Altri riferimenti più espliciti sono quelli relativi alle numerose leggende della Lessinia, tipiche di buona parte del Nord Italia, quali il Ponte del Diavolo, le anguane e gli altri esseri dell’acqua (Aissa Maissa, una fada, vive dietro una cascata…), gli orchi e il loro cibo preferito, i bambini. Altre leggende sono invece prese di peso da altri Paesi del Mediterraneo, come Israele e la leggenda del Golem, alla base dei Gelehor (uomini di fango, che ricevono la vita con l’iscrizione sul palmo della mano byentoi, “vita in te”) o quella che mi ha portato a completare la figura di Tar Hån (riferibile a leggende magiche settentrionali secondo le quali il legno di biancospino protegge da incantesimi e malefici: il suo arco è in legno di biancospino).
Sono moltissime le leggende e le storie realmente esistenti dentro Il viaggio nel Masso Verde (motivo per cui amo definire il fantasy come il genere caratterizzato da una narrazione di narrazioni), ma l’elenco sarebbe lungo. Voglio però sottolineare come abbia scelto di utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile, piuttosto basilare, chiaro e leggero (seguendo una delle lezioni americane di Italo Calvino, quella sulla Leggerezza, e l’esempio che ne ha spesso dato lui stesso nei suoi romanzi, soprattutto quelli di genere fantastico), per confermare (ma anche irridere) la convinzione di Benedetto Croce, che il linguaggio immaginifico della narrativa fantastica fosse adatto ai bambini e ai giovani, ma non agli adulti. Quale miglior modo di sconfessare la convinzione altrui, scrivendo una fiaba che parla all’uomo adulto? Ma Croce è morto da tempo, mi direte voi. Vero! Però i suoi figlioletti e nipotini sono ancora numerosi! A ben vedere, infatti, Il viaggio nel Masso Verde – così come gli altri volumi di Storia di Geshwa Olers – è un viaggio… metaletterario, dove il gioco tra autore, autori fittizi, protagonisti e lettori si fa sempre più complesso. Per rimanere a questo primo volume, esso appare curato da un certo Elior Odentorth, storico e curatore di questa edizione riunificata in sette volumi delle vicende di Geshwa Olers. Odentorth è uno dei cognomi presenti all’interno delle vicende narrate nel romanzo, sebbene impersonato da uno dei suoi antenati, il traditore Nodduci Odentorth, dal quale il curatore sembra voler prendere le distanze. Perciò abbiamo una nota scritta dal curatore, seguita da una nota scritta dall’autore materiale del libro, Nildon Lonstat (traduzione in grodestiano di… Fabrizio Valenza), e poi il materiale narrativo del romanzo. Nell’arco dell’intera narrazione, tuttavia, le voci si moltiplicano, manifestandosi come la testimonianza di svariati personaggi. Il gioco si compie del tutto solo a partire dalla fine del sesto volume, La guerra dei gelehor, dove il lettore trova la prima delle tante sorprese “metanarrative”. In più di un passo, comunque, si ha la sensazione che la storia stia parlando di fatti e luoghi reali più che immaginari e che vi siano riferimenti a situazioni del mondo reale, pronti a essere interpretati e tradotti.
Ho già parlato di Goethe in riferimento all’Erlkönig. Goethe mi è stato di ispirazione anche per un altro aspetto fondamentale del romanzo: il viaggio e la scoperta del mondo e della società in cui Geshwa vive, come viaggio dentro di sé verso la scoperta della propria posizione nel mondo e nella società, entro le cui maglie si trova in qualche modo “incastrato”. È la tematica alla base degli Anni di apprendistato di Wilhelm Meister, uno dei romanzi più importanti per la formazione di una coscienza sociale in Europa. Altri riferimenti alti, sfociati in rielaborazioni narrative, si trovano nell’elaborazione teoretico/pratica riguardante i sogni effettuata da Carl Gustav Jung. I sogni di Storia di Geshwa Olers sono tutti approcciati secondo questa visuale, in quanto capaci di rivelare innanzitutto l’interiorità di chi li ha, ma anche di chiarire qualcosa circa percezioni personali del mondo che ci circonda, magari non ancora consapevolizzate in forme chiare. Ecco che allora intervengono i sogni a gettare luce su quel che non si è ancora compreso o non si vuol comprendere bene. Altro padre “colto” dell’impostazione di questo volume e, in parte, dei successivi, è Dino Buzzati, con il suo sguardo sul mondo naturale, vero protagonista di molte delle sue storie. In questo modo si spiega come l’intero Masso Verde sia uno dei protagonisti principali del volume (d’altronde, a Lui è dedicato il titolo…). Buzzati è presente anche in quel senso di incapacità umana di rendersi conto dei fatti importanti e determinanti della propria vita che tanto attraversa tutti i volumi di Storia di G. O.
Per passare a un livello più popolare dell’ispirazione, è indubbio che alla base del senso di meraviglia dei paesaggi e dei luoghi vi siano Salgari e uno dei giochi di ruolo che più ho amato, Dungeons & Dragons, nella sua primissima versione. Il senso di avventura e il desiderio di scoperta animano entrambi i protagonisti, Geshwa e Nargolìan, sebbene con sfumature differenti.
La musica è uno degli aspetti per me più significativi della mia ispirazione, dal momento che interi capitoli di tutto il romanzo sono stati scritti con l’intenzione di trasformare in parole le composizioni che più amo. È sempre stato uno dei miei pallini, convinto come sono che i musicisti abbiano spesso precorso la comprensione dello Spirito del Tempo perfino rispetto a romanzieri superdotati. Gustav Mahler è senz’altro uno dei miei ispiratori: la sua Prima Sinfonia, con quella descrizione misteriosa che sembra essere l’introduzione del primo movimento, aleggia tra le pagine sul Masso Verde, così come la tematica dei suoi Kindertotenlieder. Altri compositori presenti con loro opere dentro il volume sono Gioacchino Rossini, con il suo senso dello humor, presente soprattutto quando Geshwa e Nargolìan si aggirano tra i personaggi di Alsi Fårsy. Questo spiega il perché la Storia sia sfociata, poi, in una sua versione musicale, composta da Fabio Valenza, capace di raccontare una storia simile e parallela, colma di sogno e mistero. Non posso non citare Petr Il’ic Tchaikovsky, l’eccezionale compositore che mi ha spinto a rendere vive scene come quelle della fucina dei Maghi o dell’anguana imprigionata.
Storia di Geshwa Olers e la religione: mi è stato rinfacciato fin dall’inizio che io abbia voluto sfruttare la religione per far compiere maggior strada a questo romanzo. Addirittura, nel 2007 fui definito da qualche blogger come un fondamentalista cristiano. E tutto solo perché avevo osato rivelare una delle mie importanti fonti: la fede in Cristo. Il sistema deista, che rimane quasi sempre alle spalle del romanzo, è però basato su una concezione a metà strada tra il pantheon greco/romano e il monoteismo giudeo-cristiano. Un solo Dio ma molte creature spirituali, che vengono vissute e descritte dalle persone come semidivinità o divinità inferiori. L’intero romanzo è la mia risposta grata alla personalissima esperienza di conversione a Cristo. Ovviamente si tratta di un fatto intimo, ma la fede in Cristo ha sempre una conseguenza pubblica, e in questo caso si tratta del romanzo. Geshwa è una figura cristologica, un preannuncio, se così si può dire, in epoca preistorica (quando è ambientato l’intero romanzo). Tra i quattro vangeli, quello che più mi ha influenzato nell’approccio “spirituale” alla materia è il quarto, quello di San Giovanni. Il piano metaletterario si gioca anche su questo livello, dal momento che una delle domande più importanti che Geshwa e chi gli sta attorno si porranno sarà quella riguardante Dio e la sua capacità/volontà di intervenire nella storia e nelle vite delle persone. Da questo punto di vista, la profezia non può mancare, ma non è certo trattata come normalmente viene trattata nei romanzi fantasy, ovvero come la previsione del futuro circa il grande successo del protagonista. La profezia diviene in Storia di Geshwa Olers uno degli elementi post-moderni per eccellenza, agita direttamente dai protagonisti, subita o architettata a seconda degli scopi, rimaneggiata come il tassello di quel famoso puzzle impossibile da completare (mi riferisco, ovviamente, ai saggi di Zygmunt Bauman, il padre del concetto di società liquida, grande punto di riferimento del romanzo).
Nulla è a caso, in questo volume, nemmeno quelle poche parole in Grodestiano Antico, lingua costruita sulla base dei modelli fornitimi dal prezioso volume di Oswald Szemerény, Introduzione alla linguistica indoeuropea. Non sono parole inventate come nella maggior parte dei romanzi fantasy, bensì il frutto di anni di lavoro per la creazione di una lingua che si può parlare, che si può usare per fare traduzioni, che si può usare per raccontare.
Raccontare è lo scopo finale e più alto di questo grande sforzo. Il mio piacere maggiore.