Le Confessioni di Sant’Agostino è un capolavoro per molti motivi, ma quello per me più importante è legato a una sua caratteristica fondamentale: il rimando continuo a ciò che sta oltre la pura coscienza umana.
Vorrei proporvi un breve percorso all’interno del X capitolo, dedicato alla memoria, alla ricerca della felicità e alla comprensione di cosa la felicità sia. Iniziamo.
In X.6, Agostino interroga le creature, e in modo particolare l’uomo:
Mi ripiegai allora su me stesso: «Tu, che cosa sei?», chiesi. E mi risposi: «Un uomo». Ecco: un corpo e un’anima sono pronti in me al mio cenno; uno appartiene al mondo esteriore, l’altra al mio interno. Con quale dei due dovevo cercare il mio Dio? Per mezzo del corpo l’avevo cercato dalla terra al cielo, fin là dove avevo potuto spingere indagatori i raggi dei miei occhi. Meglio dunque chiederlo al mio interno. A questa parte convengono tutti i messaggeri del corpo, come ad un capo e a un giudice di tutte le risposte del cielo, della terra e di tutto quanto essi racchiudono, e che ripetono: «Non siamo noi, il Signore»; e: «Egli è il nostro creatore». L’uomo interiore ne ha conoscenza per mezzo dell’esteriore: l’ho conosciuto io, uomo interiore, io, anima, attraverso i sensi del corpo. Ho interrogato intorno al mio Dio tutto l’universo, e la sua risposta fu: «Non sono io, ma il mio Creatore». […] E tu, tu, o anima, sei la parte migliore, perché tu animi la massa del tuo corpo, dandogli la vita che nessun corpo può dare ad un altro corpo. Ora, il tuo Dio per te è anche vita della vita».
L’anima, che è la psiche (termine con cui i greci indicavano proprio ciò che noi chiamiamo anima), è ciò che dà vita al corpo. È essa stessa parte del corpo, cui dà vita Dio stesso. Andiamo avanti. In X,8 Agostino entra nella grotta della memoria, e basta che vi entri e
che io chieda quello che voglio trarne: alcune impressioni emergono tosto, altre bisogna ricercarle più a lungo come se si dovessero cavar fuori da ripostigli più segreti, altre s’affollano tutte quante insieme mentre si cerca o si vuole cosa diversa, e balzano in mezzo, come per dire: «Siam forse noi?». Con un atto di volontà le allontano dalla visione del ricordo, finché si snebbi quello che io voglio e venga fuori chiaro dal fondo. E altre ancora si snodano con facilità e con ordine perfetto secondo il richiamo; le prime cedono il posto alle seconde, e, quando si ritirano, tornano nel loro nascondiglio, pronte a riapparire ad un cenno della mia volontà.
La memoria è qualcosa di eccezionalmente duttile, pronta al comando, in qualche modo misteriosa perché in grado di nascondersi per rispuntare a richiesta.
È talmente misteriosa, che esiste pure la memoria della memoria.
Leggete questo brano, tratto da X, 13:
Conservo dunque tutte queste cognizioni nella mia memoria, e vi conservo anche il modo con cui le ho imparate. Ed anche ricordo, le molte e falsissime teorie che vi ho udito disputare contro: false, sì, ma non è falso che io me ne ricordi; e anche ho ben presente che stabilivo la distinzione tra quelle vere e queste false: e vedo che altra cosa è il distinguerle ora e altra il ricordarsi di averle distinte quando vi pensavo. Ricordo dunque di aver spesso capito queste cognizioni: e ripongo nella memoria ciò che ora discerno e comprendo per ricordarmi poi di averlo ora compreso. Mi ricordo dunque di essermi ricordato; e se poi, in seguito, richiamerò alla mente questo ricordo, sarà pur sempre in virtù della memoria.
La memoria non conserva, perciò, solo ciò che viene da fuori, ma anche ciò che nasce all’interno della mente, come il giudizio. Inoltre, cosa stranissima, la memoria può pure ricordare se stessa, cioè di essersi ricordata. Non solo, al paragrafo X.16:
quando nomino la dimenticanza, so quello che intendo: ma donde lo saprei se non ne avessi il ricordo? Non dico il suono della parola, ma la natura della cosa significata; se avessi dimenticato il valore di quel suono, certo non potrei riconoscerlo. Quando dunque ricordo la memoria, è la memoria stessa che risponde all’appello; quando ricordo la dimenticanza, sono presenti insieme memoria e dimenticanza: la prima per farmi ricordare, la seconda è l’oggetto del ricordo. Ma la dimenticanza non è forse privazione della memoria? Come può essere presente perché me ne ricordi, se la sua presenza impedisce di ricordare? Ma, se quello che ricordiamo lo riteniamo per mezzo della memoria, e se non ritenessimo nella memoria la dimenticanza, non potremmo mai, udendone pronunziare il nome, riconoscere la cosa significata: dunque la dimenticanza è conservata nella memoria; ed è lì presente per non lasciarci dimenticare ciò che quando è presente dimentichiamo.
Ricordiamo perfino il dimenticare: ed è ciò che chiamiamo la dimenticanza.
La memoria si rivela, dunque, come un potere prodigioso che è in grado di nascondere, rievocare, memorizzare, dimenticare e ricordare di ricordare e ricordare di dimenticare, al solo comando della nostra volontà. Inutile dire che ricordare e dimenticare è legato alla Coscienza e alla sua capacità di costruire una narrazione di sé nella quale tornano utili (perché fonti di energia) i ricordi e le dimenticanze. Con quale scopo? Ne parleremo nel prossimo post.