
Tornare all’unità originaria, quella che identifichiamo con il divino, ovvero tornare ad abbracciare il Padre nei confronti del quale siamo Figli divini noi stessi, è al di fuori delle nostre forze.
La Coscienza si costruisce attraverso un continuo differenziarsi, e differenziazione vuol dire molteplicità: questa molteplicità è molteplicità di narrazioni personali, che riguardano la propria vita, la propria modalità di esistere, il proprio modo di reagire e di portarsi in seno alla società. Per questo motivo, la Coscienza da sola non può andare contro se stessa, non può rinnegare le costruzioni narrative tramite le quali si è costruita, perché per lei significherebbe annullarsi. Ecco che, allora, diviene necessario l’aiuto che giunge dal di fuori, un aiuto efficace, capace di far leva sulla materia prima della Coscienza: le sue narrazioni e le emotività e affetti che le rendono efficaci.
Solo una forza divina, che non appartiene o non sottosta alle dinamiche di spazio e tempo (tipiche delle narrazioni della Coscienza), può fornirle una piena capacità di movimento, l’energia per porre in essere un cambiamento, per orientare in modo nuovo le proprie narrazioni e con modalità efficace. Non voglio porre il discorso in termini morali, perché si corre il rischio di ridurre il tutto a una questione di bene e di male, ma non si tratta solo di sapere cos’è il Bene e cos’è il Male, bensì di qualcosa di molto più sottile: capire cosa è Bene e capire cosa è Male.
Comprendere le modalità e le forme attraverso le quali Bene e Male agiscono in noi stessi.
La modalità con cui si costituisce la Coscienza – lo ricordo: attraverso una differenziazione da ciò che è divino raggiunta tramite narrazioni di se stessi sempre differenti, seppur coerenti – impedisce alla stessa di comprendere fino in fondo in che modo queste due forze agiscano in noi, perché di solito la Coscienza reputa Bene ciò che in realtà la allontana dall’Unità con Dio e Male ciò che invece la riunirebbe a Lui. Per la Coscienza, il Male è la perdita della propria individualità (rischio che essa ritiene di correre se desidera una riunificazione con il divino) e il Bene è la conferma della propria differenza (ciò che, nella realtà dei fatti, ci impedisce spesso e volentieri di sentirci uno con gli altri e con il divino che c’è in noi).
Ecco, perciò, che si giunge a una domanda da sempre importante per il senso dell’esistenza umana: com’è possibile tornare a un’Unità di intenti e di esistenza con gli altri e con il divino senza rinunciare alla propria individualità e differenza? La risposta non può che essere solo una: fidandosi di un richiamo, quello che proviene dal divino, ascoltando e accogliendo la fascinazione di ciò che è relazionalità pura, ponendosi in una posizione di ascolto di ciò che non appartiene alla nostra Coscienza. Questo – e non altro! – è esattamente lo scopo della meditazione.
La meditazione aiuta a riscoprire la relazionalità intrinseca a noi e alla nostra esistenza, di più, al nostro essere. E si tratta sempre di una relazionalità che proviene direttamente dal divino. Il Maestro interiore viene scoperto proprio nel momento in cui ci predisponiamo a un tale viaggio interiore, ed è Egli che ci accompagna lungo una strada che porta alla riunificazione, pur se nel mantenimento della differenza.
Il richiamo del Maestro interiore agisce come una fascinazione, come un invito a considerare ciò che non è mai stato considerato prima, a puntare lo sguardo su qualcosa che si è sempre lasciato in disparte.
È necessario allora chiarire cosa si intenda per Maestro interiore. Questo, però, sarà l’argomento della prossima serie di post. Perciò, rimanete collegati al blog e, se volete, diffondetene notizia.