Ho letto l’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, del 4 giugno 2018 (modificato il 5 giugno), intitolato “Cattedre più alte per tutti i professori”, e mi preme sottolineare alcuni dati di fatto, nonché alcune necessità che si dovrebbero ascoltare. Lo faccio da insegnante della Scuola dell’Infanzia, che già alla Scuola dell’Infanzia nota le derive che, a quanto pare, si sviluppano ulteriormente negli ordini scolastici successivi.
1 – Reintroduzione della predella: questa proposta di Galli della Loggia è stata, leggo, molto criticata. Eppure, fin dall’infanzia si nota nel bambino la volontà di eliminare ogni differenza tra sé e l’insegnante. Quanti bambini sono tentati di chiamarmi amico e di considerarmi tale, io che – di solito – mi metto al loro livello (fisicamente parlando, cioè mi abbasso quasi inginocchiandomi) quando vogliono parlarmi, io che mi faccio abbracciare da tutti quelli che vogliono abbracciarmi (mentre solitamente le insegnanti accolgono a fatica un simile gesto d’affetto)? Moltissimi, e non sto esagerando. C’è un implicito desiderio di abbattere le differenze, perché i bambini temono questa differenza che, giunti a scuola, è per loro novità, lontana dal clima di affiatamento e di reciproca “dipendenza” affettiva raggiunto solitamente in famiglia. Ma la differenza è fondamentale, l’insegnante non è un genitore, tanto meno un amico. Talmente importante è la differenza di ruolo tra insegnante e alunno, che è necessario e urgente ritrovare dei segnali anche fisici che eliminino l’illusione che si è voluta creare che tra docente e discente vi fosse sostanziale democratica parità. La differenza – una differenza educativa – è cercata dagli alunni stessi, e la prima prova di questa verità la si può ritrovare nel venire in continuazione messi alla prova: quando l’alunno sfinisce l’insegnante con comportamenti assurdi e ingiustificabili (cosa che avviene moltissimo già nella Scuola dell’Infanzia), lo fa per capire a quale limite può avvicinarsi ed entro il quale deve stare, perché sa implicitamente che il limite è dettato dall’insegnante.
2 – Ruolo delle rappresentanze familiari nella Scuola: in effetti, ci si chiede sempre di più fino a che punto abbiano senso. Si assiste a una proliferazione, tra l’altro, delle riunioni, spesso inutili per buona parte dei docenti che vi partecipano. Ancora di più, perciò, per i genitori, che spesso hanno scritto nel volto l’interrogativo sulla necessità di quegli incontri. Inoltre, vi è un’ansia che si affaccia sui loro visi e nelle loro domande, segno che l’unico risultato che tali riunioni hanno è di aumentare la necessità di rassicurazioni da ottenere dagli insegnanti, che si vedono costretti a molte dispersive abitudini pur di soddisfare tali richieste (spesso tacite e date per scontate): materiale provante i lavori svolti con gli alunni (tanto che pure alla Scuola dell’Infanzia si assiste a una proliferazione di lavori tesi a mostrare quanto le maestre siano brave, più che i reali risultati conseguiti dai bambini), verbali redatti con fatica e, poi, mai letti dagli altri genitori, articoli pubblicati sui siti istituzionali (e poi mai letti dai genitori), e così via, in un inutile dispendio di tempo e mezzi. Inoltre, cosa possono comprendere i genitori di un ruolo che non li pertiene in nulla? Ricordo: gli insegnanti hanno un ruolo del tutto differente dai genitori, e la Scuola dell’Infanzia – aggiungo – non si chiama più Scuola materna. Madri e padri sono stati estromessi dal concetto di insegnamento ormai da diverso tempo, e riammetterli tramite riunioni mi sembra un soddisfare a una certa necessità che definirei da “coda di paglia”.
3 – Obbligo di biblioteca: un’indicazione per me fondamentale. La lettura è talmente importante… che sarebbe necessario, tra l’altro, avere insegnanti che ne siano del tutto consapevoli. Mediamente, ho la fortuna di lavorare con maestre che sono più che consapevoli che la buona cultura inizia da un buon rapporto con il libro fin dalla Scuola dell’Infanzia, eppure proprio ieri mi è capitato di sentir dire da una mia collega una frase del tipo: “Che senso ha far studiare I promessi sposi se qui siamo a Verona? Meglio Romeo e Giulietta”. Ora, non discuto della qualità letteraria del dramma di Shakespeare, tuttavia mi permetto di far notare che il primo è un romanzo – anzi, IL romanzo – italiano, e il secondo un dramma inglese – e nemmeno IL dramma inglese. Inoltre, che andrebbero formati meglio anche gli insegnanti. Si assiste troppo spesso a un’assenza di cultura generale che trovo assurda, soprattutto tra chi mette piede nella scuola per educare i bambini e i ragazzi. Un criterio fondamentale per la selezione degli insegnante DEVE essere la cultura, da misurare tramite test per accertarsi che sia a un livello minimo. Dovrebbero saper parlare bene l’italiano, gli insegnanti, altrimenti come si fa a insegnarlo bene agli studenti figli di immigrati? Inoltre, andrebbero date maggiori risorse alle piccole biblioteche che le Scuole dell’Infanzia (ma ovviamente la cosa vale – e anche di più – per le Scuole Primarie e Secondarie) riescono a mettere in piedi grazie, spesso, alla volontà e ai soldi di insegnanti e genitori.
Ecco, già queste tre cose, secondo me, migliorerebbero notevolmente la qualità della scuola italiana. Ernesto Galli della Loggia ha molta ragione. Personalmente, poi, aggiungerei altre condizioni per rendere l’insegnamento maggiormente efficace: una selezione psico-culturale degli insegnanti tra tutte e il reinserimento di psicologi nelle scuole, quale supporto a studenti e docenti, ma temo siano obiettivi troppo in là per sperare di vederli introdurre in tempi brevi.