Oggi sono stato testimone di un esperimento di sincronicità, a dire il vero in maniera piuttosto casuale. Ve lo racconto.
Nell’aula in cui lavoro il lunedì mattina, dalle 10.30 alle 12.00, c’erano seduti 18 bambini dai quattro ai cinque anni ai quali dovevo consegnare un foglietto ciascuno con una scritta da colorare sulla parte frontale. Sul retro del foglietto avevo invece scritto il nome di ciascuno di loro per facilitarmi il lavoro di distribuzione. Data la grande confusione che facevano, li richiamo all’ordine e – come sempre faccio, agendo un po’ sulla base dell’immagine che ho per loro (sono un maschio – l’unico – in una Scuola dell’Infanzia; inoltre, ho la barba) – aspetto che siano tutti attenti. Mi metto allora di fronte a loro e tra me e me leggo il nome del bambino che compariva sul retro del primo foglietto (che loro ovviamente non potevano e, oltretutto, non sapevano leggere).
Senza che io lo solleciti a indovinare, uno dei bambini – quello più stralunato tra tutti – me lo dice.
Lì per lì rimango piuttosto stupito, ma – mi dico – sarà stato un caso. Perciò proseguo: dopo aver consegnato il primo foglietto al suo destinatario, leggo tra me e me il nome del secondo foglietto. Quel bambino mi dice anche il secondo nome. Mi era bastato solo guardarlo, e lui aveva colto la mia richiesta implicita, indovinandolo. Allora decido di fare una cosa dalle conseguenze importanti, che, so già, farò fatica a dimenticare: mentre consegno anche il secondo foglietto, guardo quel bambino e lancio una scommessa: “Vediamo se indovini anche l’altro nome”, gli dico. Come già prima, leggo il nome con la mente, lui me lo dice.
Arrivato a questo punto sono già più che convinto che stia capitando qualche cosa di molto strano: una di quelle situazioni che Jung chiamava sincronicità. Io stesso ne ho vissute in svariati momenti della vita. Ma non stiamo parlando di me. Stiamo parlando di quel bambino, che ora – credetemi – non guarderò più allo stesso modo. Andiamo avanti.
Non contento di averlo sentito indovinare perfettamente i primi tre nomi, io continuo con il gioco. Seguono tre foglietti destinati a tre bambine con lo stesso nome ma cognomi differenti, e lui (quasi mi verrebbe da dire: ovviamente) li indovina tutti e tre, sbagliando soltanto il cognome della prima omonima. Da un punto di vista emotivo, per lui dev’essere stato un piccolo smacco. Gli altri bambini già gli chiedevano: “Ma come fai?” Lui forse pensava: “Ho indovinato finora, devo far vedere a tutti gli altri che sono capace di farlo ancora.” Il suo stato emotivo si è però modificato, e per i successivi due/tre/quattro foglietti non indovina più. Poi ritorna a fare centro, e verso la fine ne becca altri quattro.
Totale: 10 nomi indovinati su una sequenza di 18.
Ho chiesto a un amico di farmi un calcolo delle probabilità. Io di matematica non ne capisco nulla, ma capisco da solo che la probabilità che accada una cosa simile proprio per come è avvenuta, dev’essere molto bassa. Secondo il suo calcolo, ci avviciniamo a 1 su 4200.
Jung, quando in un suo famoso saggio sulla sincronicità parla degli esperimenti che fece, alla fine giunse alla conclusione che lo stato emotivo dei partecipanti pareva aver influenzato enormemente in direzione di un salto oltre lo spazio e il tempo, che non sarebbero altro che categorie della mente e non quantità esistenti in maniera oggettiva. Quando il nostro cuore desidera veramente qualcosa, la soglia che separa il conscio dall’inconscio si assottiglia sempre di più, fino talvolta a coincidere. In quel momento spazio e tempo vengono superati e siamo capaci di prevedere il futuro, oppure di cogliere tutti gli eventi come se fossero di fronte a noi.
Questo è ciò che credo sia accaduto con questo bambino.