Il primo trattato del Corpus Hermeticum prende titolo dal Nous, l’Intelletto supremo, il padre che è la divinità stessa, Pimandro, per l’appunto. Nel testo, egli si rivela al suo fedele, Ermete, caduto in una sorta di trance, durante la quale riceve la rivelazione su Dio e la Natura, e la missione di far conoscere agli uomini la luce della grazia ricevuta. Si tratta di un vero e proprio trattato cosmogonico, antropogonico ed escatologico. Vediamone i punti salienti per ciò che interessa a noi.
All’inizio della visione di Ermete, l’oscurità scende simile a un serpente e si muta in umidità agitata ed esalante un fumo di fuoco, che geme come il fuoco (4). Poi un santo Logos (che è il figlio di Dio) si dirige dalla luce (che è l’intelletto supremo) alla natura, che sprigiona un puro fuoco verso l’alto (5). Il Logos è ciò che nell’uomo guarda e ascolta, mentre Dio padre è l’intelletto dell’uomo. La loro unione è la vita (6).
Con questi termini Ermete assiste all’epifania di dio: si tratta di un linguaggio filosofico tipico dei primi filosofi greci, con riferimento al cosmo suddiviso nei quattro elementi, ma intriso di una dimensione etica sconosciuta ai pre-socratici. Il Logos è qui probabile infiltrazione derivante dal Prologo di Giovanni, ove si oppone all’oscurità, più che riferimento al Logos degli stoici, che è commisto e inscindibile dalla materia.
Pimandro, in seguito, tiene fisso lo sguardo in quello di Ermete, che può così vedere la «forma archetipica, il Principio anteriore del Principio infinito»: nel Nous la luce si esplica «in un numero incalcolabile di potenze, luce divenuta parimenti un mondo senza limiti». Al punto n. 9 si dice che Dio, il Nous, è androgino, vita e luce, e che con la parola genera un secondo Nous demiurgo, che produce i sette governatori del mondo sensibile: il governo di tali governatori è definito destino1. Segue la creazione del mondo secondo uno schema che è in parte biblico: «l’aria produsse i volatili e l’acqua gli animali acquatici. La terra e l’acqua erano ormai definitivamente separate l’una dall’altra, secondo la volontà del Nous. E la terra quindi partorì dal suo grembo gli animali che erano in lei, quadrupedi e rettili, fiere selvagge e animali domestici (11). Il Nous, il padre di tutte le cose, che è vita e luce, generò allora Anthropos, a lui simile, e fu preso d’amore per lui come per un proprio figlio, perché era bellissimo riproducendo l’immagine del padre […] e affidò ad Anthropos tutte le sue opere» (12).
Si possono notare alcuni elementi in particolare: l’androginia originaria di Dio che si riflette, tramite la creazione dell’Anthropos, nell’essere umano (quindi l’uomo come microcosmo); la forma archetipica di memoria platonica che diviene modello per tutte le altre creazioni, non ultimo l’Anthropos che ripropone in sé le caratteristiche divine di Nous, Logos e natura; infine, la struttura tipicamente greca della cosmogonia in un’accezione peculiarmente stoica. Vi sono comunque risonanze della Genesi nella versione dei Settanta, sebbene qui sia presente un gioco di rimandi tra Nous che prova attrazione per la propria forma, che è l’Anthropos, e quella dell’Anthropos che prova attrazione per la propria immagine riflessa nella Natura (14). Presenza di riferimenti alla Settanta si rintracciano anche nell’ordine dato agli uomini finalmente separati tra maschi e femmine di crescere e moltiplicarsi (18). È interessante notare come il Pimandro si concluda con un canto innico (31) – discretamente diffuso nel mondo tardo-antico – dalla struttura liturgica riconducibile a quella ebraica, come sottolineato da M. L. Philonenko2.
Che l’approccio al divino contenuto nel primo trattato del Corpus Hermeticum (il Poimandres, per l’appunto) sia di stampo religioso è dato incontrovertibile: basterebbe sottolineare quanto viene detto nel paragrafo 1, ovvero che le sensazioni fisiche di Ermete cadono in un torpore e poi in un sonno che, tipicamente, precede le visioni. Gli esempi di un simile fenomeno in seno alle religioni monoteiste si sprecano, non solo per il mondo cristiano, ma anche per quello musulmano (basti ricordare Maometto e i mistici del Sufismo) e per quello ebraico. Quanto al cristianesimo, si possono ricordare S. Caterina da Siena, S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila. In seno alla Bibbia, il sonno diviene la condizione umana all’interno della quale Yahvé fa conoscere la sua volontà (cf Numeri 12.6; 1 Samuele 28,6). Il paragrafo 3 stabilisce programmaticamente il cammino di conoscenza di Dio: dalle creature alla loro natura, e da questa alla natura di dio. La conoscenza di dio è il vertice del processo conoscitivo. Tuttavia, sarebbe meglio tradurre ὁ ϑεός come “il dio”, per non incorrere nell’ingenua sovrapposizione di concetto del dio cristiano su quello pagano.
1 Tale destino è da intendere secondo una concezione tipicamente stoica, come quella riportata da Diogene Laerzio dalle Massime capitali di Epicuro, che parla di fato come concatenazione causale delle cose, o ragione secondo la quale il mondo si governa. Il pensiero di Cicerone a tal riguardo offre un ulteriore approfondimento, contenuto in De divinatione, I: è la verità eterna fluente da tutta l’eternità. Perché così essendo, nulla è avvenuto che non sia stato futuro e nulla ugualmente è futuro, di cui la natura non contenga le cause produttrici. Il fato è, dunque, ciò che si dice in senso naturale come causa eterna delle cose.
2 Marc PHILONENKO, Le Poimandrès et la liturgie juive, in Les syncrétismes dans les religions de l’antiquité, a cura di Françoise DUNAND e Pierre LEVEQUE, Leiden 1975, pp. 204-211.