Irrational Man – Woody Allen

45-Irrational-Man_1Filosofia e problemi esistenziali… del filosofo, per l’ultimo film di Woody Allen. E che stranezza ci sarebbe? Da sempre i problemi esistenziali sono al centro delle riflessioni dei filosofi. Vero, ma qui stiamo parlando dell’ultimo film di uno dei più grandi registi degli ultimi decenni e, sinceramente, non capisco il perché di questa pellicola. Ma andiamo per gradi.

Il protagonista di Irrational Man, Abe, è interpretato da Joaquin Phoenix, uno dei migliori attori di Hollywood, perfetto per la parte del professore di filosofia che non riesce a dare un senso alla propria vita. Tuttavia, in linea con il pensiero filosofico che sembra preferire (Kierkegaard no, è un cristiano – lo dice il protagonista, non io, n.d.r.), sarà l’occasione di uccidere un magistrato per liberare il mondo da quello che egli considera un parassita a riempirlo di nuova vita. In effetti, lo stesso Allen ha affermato che Irrational Man è una riflessione sulla morte, ma in questo caso, la morte comminata a un altro essere umano, con piena, deliberata ed estetizzante volontà, diviene il motivo che dà vita alla sua vita già morta.

Affascinante professore di filosofia, Abe attrae le donne come la luce le falene. Nel film, sono due in modo particolare: un’attempata collega, Rita, interpretata da Parker Posey, che vuole fuggire dalla relazione col marito che non ama più, e una sua studentessa, Jill, interpretata da Emma Stone. Entrambe si rapportano al concetto della morte per suo tramite, reagendo in modi opposti. Quando quest’ultima scopre che a uccidere il magistrato è stato proprio Abe, si riscopre per quella donna piccolo-borghese che tentava in ogni modo di non essere, mentre a Rita non serve sapere con certezza chi sia l’assassino, perché lo ha già capito da sé, e lo ha anche giustificato, accettato: sarebbe pronta a partire per la Spagna con il suo amante-omicida, perché una svolta di vita è ciò che più la interessa.

Gli attori sono come al solito bravissimi. La trama sarebbe interessante, anche perché si dipana sulla base di elementi davvero profondi, non banali (ovvio, è Allen, dirà qualcuno di voi), ma la riflessione avrebbe potuto essere più esplicita, la trama più complessa, mentre tutto si risolve in un’esposizione (ben congegnata, ovvio, è Allen!) purtroppo stanca, che esprime pienamente il senso – inutile e vuoto – del caso. Perché alla base di tutto c’è questo: la riflessione di Allen sulla morte si esaurisce in una decisione del “caso”, e in quanto tale, informa l’intera pellicola della sua inutilità e della sua assenza di significato, tanto che al termine della visione ci si domanda: “Ma Allen, davvero aveva bisogno di fare questo film?”


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