Consapevolezza e arte

Ho spesso sostenuto che la consapevolezza è fondamentale per uno scrittore. In effetti, non posso che confermare questa posizione. Trovate qualcosa al riguardo qui. La consapevolezza è il primo necessario gradino di chi si pone di fronte all’idea di sostenere la scrittura di un intero testo. Tuttavia credo non si debba confondere la consapevolezza con il senso artistico. Mi spiego meglio.

Un libro – esattamente come un quadro, una statua, una composizione musicale o altro – deve necessariamente partire da un livello di scrittura minimo che comprenda la piena consapevolezza degli strumenti tecnici: grammatica, sintassi, stile, riferimenti, atteggiamento iniziale e piano generale. Questo è davvero il minimo che si debba chiedere a chi inizia a scrivere un libro (ovviamente se vorrà proporlo al mercato e non tenerlo nel cassetto). Spesso – forse quasi sempre – ci si ferma qui.

Tuttavia, un libro può essere anche arte. È incredibile come ci siano perfino molti scrittori o aspiranti tali che sostengono che scrivere non sia arte, ma tecnica. Ora, la tecnica è proprio il primo gradino. Il secondo – a mio avviso – dovrebbe essere l’arte. Uno scrittore che non voglia porsi un traguardo artistico scrive per il mercato, unicamente per quello. Chi, invece, si pone il traguardo artistico si rende conto come, se vuole ottenere un risultato artistico, debba sospendere la consapevolezza.

Già. Arte e consapevolezza non vanno per nulla d’accordo. Può sembrare una contraddizione. Ma come, prima bisogna diventare pienamente consapevoli per poi non esserlo più? Come si fa? Non ha senso! Eppure, il suo senso ce l’ha. Tento di spiegarmi, anche in questo caso.

L’arte è ciò che va a pescare nell’inconscio e che in riferimento a esso diventa capace di parlare a chiunque, sempre, ovunque. La consapevolezza, tuttavia, attiene unicamente al conscio, a un livello progettuale dell’intelligenza, e se vogliamo accedere a un livello artistico, bisogna mettersi dietro le spalle la consapevolezza, per aprirsi al mondo dell’inconscio. Il che vuol dire – implicitamente – meno progettazione possibile, soprattutto nella fase della scrittura vera e propria. Avete presente quando il personaggio di cui state scrivendo prende la decisione di fare qualcosa di diverso da quanto avevate progettato? Ecco, quello è il momento in cui l’inconscio prende il sopravvento. Bisogna permettere all’inconscio di prendere il sopravvento sull’intero romanzo, perfino sulla sua struttura.

Sono convinto che il miglior romanzo, quello più artistico, sia quello nato da sé. Può anche avere una struttura perfetta, ma di certo sarà tutto materiale scaturito dalla parte più umana, emozionale, inconscia dell’essere umano. La struttura consapevole sarà presente unicamente perché l’autore dell’opera ha già sviluppato una lunga abitudine alla stessa, l’ha già praticata da tempo. Di qui la necessità della gavetta. Per questo motivo non ci si può improvvisare scrittori: è necessaria una lunga gavetta.

Allora ricordatevi: lunga gavetta, grazie alla quale si sviluppa una piena consapevolezza dei mezzi, per infine lasciarsela alle spalle e volare verso la propria modalità artistica. Nessuno è obbligato a farlo, ma quando leggiamo, siamo quasi sempre alla ricerca di un simile risultato.


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