…delle belle che udì il padron mio,
un catalogo egli è che ho fatt’io
osservate, leggete con me, osservate, leggete con me!
1) Se hai scritto il tuo primo romanzo, lascialo nel cassetto, non avere fretta di mandarlo di qua e di là. Soprattutto, non pensare di poterlo già inviare a un editore. Ci vuole cammino, gavetta, fatica, e la fretta non è mai buona consigliera. Tieni lo scritto nel tuo cassetto e dedicati a tutt’altro. Sperimenta, prova altri generi, prova altri tipi di scrittura. Se hai scritto prosa, tenta la poesia. Se hai scritto fantasy, tenta un romanzo cosiddetto realista.
2) Quando sono trascorsi almeno sei mesi dal termine della prima stesura, riapri il cassetto. Àrmati di tutti i vocabolari utili (che però bisogna aver già imparato a usare con “scaltrezza”, interrogandoli) e procedi a una prima correzione. Qui torna ottimo il consiglio di Stephen King: la prima stesura l’hai fatta per te, con la porta della camera chiusa; la seconda è per il lettore, apri la porta della camera e pensa che quel libro deve piacere a un lettore che tu non conosci.
3) A proposito del piacere a un lettore che non conosci: non fare leggere ciò che hai scritto a nessun altro che non alla tua personalità nascosta, quella molto critica, quella che si fida del proprio intuito. Se, mentre leggi, la tua mente ti dice: “però… questo magari si potrebbe scrivere in modo più diretto”, fallo! L’intuito è la prima voce da ascoltare. Solo la tua mente, solo il tuo giudizio possono dirti in questa fase cosa vada sistemato, tagliato, aggiunto, modificato, corretto, stralciato con rabbia, inserito con fatica interiore e tecnica. Il primo lettore a cui deve piacere il tuo testo sei tu. Se piace a te, piacerà anche a qualcun altro. Se non ti annoia, probabile che in futuro non annoierà troppe persone. Se, invece, qualcosa ti spinge a passare troppo velocemente su un brano del libro che hai scritto e senti che una sensazione fastidiosa molto nascosta ti gratta leggermente la gola, vuol dire che stai sorvolando su qualcosa di importante. Se senti che ti formicolano le cosce in zona inguinale perché ti stai sforzando di leggere fino in fondo un capitolo o un paragrafo, meglio seguire ciò che ti dice il tuo inguine: il tuo corpo sa prima della tua coscienza ciò che non va. Vale anche per un testo.
4) Una volta che hai terminato la seconda stesura, inseriscilo di nuovo nel cassetto. Lascialo lì un altro mese almeno. Intanto, divertiti con le poesie che avevi scritto nella precedente pausa, applicati con regole feroci e studia come migliorarle, perché non c’è nulla che meriti di essere sottovalutato. Quanti poeti ci sono in Italia? Forse più dei prosatori, e, ovviamente, anche in questo settore della scrittura si pensa di saper fare solo perché viene spontaneo. La poesia ha a che fare con la spontaneità ancor meno, forse, di quando si parla di prosa, sebbene si creda l’esatto opposto.
5) Bene. Riprendete il manoscritto e correggetelo. Ma come, l’avevo già fatto, no? Avevo già corretto con lacrime e sangue. No, mio caro: tu avevi solo sistemato la prima bozza. La correzione viene ora che la storia ti convince nella sua estensione. C’è una grammatica da consultare in continuazione, perché per quanto siamo convinti di conoscerla, abbiamo sempre da imparare qualcosa di nuovo. Ci sono termini da utilizzare, che non siano i soliti banali, triti e ritriti: non è una questione di sinonimi. Dire che la lingua italiana non sopporta le ripetizioni è banalizzare un aspetto fondamentale della prosa nel nostro meraviglioso idioma: si tratta di scovare il termine giusto per la cosa giusta. Difficilmente nella storia che narrate il protagonista farà due cose identiche: perciò perché ripetere qualcosa con gli stessi termini?
6) Avete completato la prima correzione? Attendete una settimana, dopodiché correggetela una seconda volta. Molto probabilmente scoprirete che il vostro testo necessita di altre limature che nemmeno questa seconda correzione grammaticale eliminerà del tutto.
E ora che ho il mio bel testo scritto da inizio a fine in due bozze, corretto e ricorretto, posso mandarlo alle case editrici, giusto?
Ni. Mi spiego meglio. Prima di cercare le case editrici è necessario porsi alcune domande. Vediamone alcune.
– Di cosa parla il mio libro? A seconda di ciò di cui parla – domanda che, a dire il vero, dovreste esservi posta quando prendete in mano lo scritto per effettuare la seconda stesura – allora saprete cosa scrivere in una compiuta sinossi, documento introduttivo necessario per inviare il romanzo a un editore. La sinossi dev’essere concisa, non più di una pagina, dire tutte le cose importanti, essere accattivante, mostrare il vero nocciolo della questione, essere scritta in italiano. Questa domanda potrebbe rivelarvi delle sorprese, perché spesso l’idea finale del romanzo è diversa da quella iniziale, e la risposta andrà data tenendo ben presente la lettura finale che ne avete fatto una volta terminata la seconda correzione grammaticale (ve l’avevo detto, a proposito, che dopo aver terminato la seconda correzione grammaticale il romanzo andrebbe lasciato un altro mesetto nel cassetto e riletto quando state pensando a ben altro?)
– È scritto bene? La domanda non è oziosa, e bisogna essere molto sinceri con se stessi. Con ogni probabilità, l’esordiente non sarà in grado di dire se il proprio primo romanzo è scritto bene. Torna utile, in questa fase, farlo leggere ad alcuni lettori disinteressati e opportunamente selezionati, che ve ne diano una parere sincero. Di solito io faccio così: individuo diversi aspetti del romanzo sui quali mi interessa avere un’opinione e seleziono i lettori in base alla loro competenza su quell’aspetto. Non crediate che i famigliari non siano in grado di dirvi la loro con sincerità. Ho spesso sentito dire che uno della famiglia o un amico non sarebbe in grado di farvi presente ciò che pensa, ma non posso che dire che si tratta di una sonora sciocchezza: molto spesso le critiche che mi hanno fatto più male o che mi hanno aperto gli occhi sono venute proprio da mia madre, mio fratello o dai miei amici. Però, bisogna saper fare le domande giuste per avere la risposta giusta. Nel caso in cui veniste a scoprire che il libro non piace a coloro cui l’avete dato in lettura, è necessario un altro sforzo di sana autocritica e sincerità con se stessi, e spesso diventa necessario combattere il proprio orgoglio: con ogni probabilità vorrà dire che ciò che avete scritto non è bello. Il che non vuol dire che non è recuperabile. Bisogna solo capire cosa non funziona, e potrete farlo solo domandando ai vostri primi lettori cose specifiche sugli aspetti cui si sono dedicati.
– A quale editore? Bella domanda. Per iniziare va più che bene anche un editore piccolo, perché puntare subito a un editore grande potrebbe rendere il tutto molto più arduo. Detto per inciso, un esordiente può puntare fin dall’inizio a un editore grande, ma deve farlo con strumenti utili. Uno di questi è l’agente letterario. Gli agenti letterari non sono vampiri che si nutrono del vostro sangue (per lo meno nella maggior parte dei casi…), ma esperti che sanno darvi un parere spassionato su ciò che avete prodotto e che, se ci credono davvero, sono pronti a rappresentarvi presso gli editori grandi, ormai difficilmente raggiungibili per vie differenti. In Italia, purtroppo, c’è un piccolo neo, costituito dal fatto che gli agenti si fanno pagare anche la semplice valutazione del testo, e di solito con cifre che si aggirano dai 250 € in su. Un altro strumento utile – anzi fondamentale – è che l’editore non sia a pagamento. Scrittori miei, non pubblicate mai a pagamento, perché chi si fa pagare ha un solo motivo: non gli importa granché di ciò che di vostro pubblicherà. Eh, ma non tutti gli editori piccoli possono permettersi investimenti che facciano sì di assumersi tutto il rischio dell’impresa… ecc. ecc. Beh, dico io, che non facciano gli editori, allora, ma aprano un ristorante, un giornalaio o qualunque altra cosa possa far rientrare in fretta dal rischio cui ci si espone. Per vostra informazione, il blog di Loredana Lipperini espone la lista degli editori a pagamento e di quelli a doppio binario (in alcuni casi si fanno pagare e in altri no) che era stata stilata e pubblicata da Writer’s Dream. Eccola. Di qui la prossima domanda, cioè…
– Voglio davvero puntare a un grande editore? Sicuramente è l’aspirazione di ogni scrittore esordiente, che vedrebbe realizzarsi il sogno di farsi leggere da più gente possibile (anche se essere pubblicati da un grande editore non significa sempre e solo questo), ma un esordiente che ha scritto il suo primo romanzo dovrebbe domandarsi se valga davvero la pena interpellare un agente letterario pagando una cifra non bassa, per poi scoprire che non è ancora arrivato il suo momento. Forse, c’è un’altra strada. Quella del piccolo editore. La questione piccoli editori o grandi editori non è così importante quanto quella editori seri o editori avventurieri. Di cosa si tratta? La qualità dell’editore non è data dalla grandezza, bensì dalla passione e dall’investimento che ci mette nella propria azienda. Un editore può essere piccolo, avere pochi soldi da investire ma decidere di pubblicare due soli romanzi all’anno e quei romanzi pubblicarli bene, secondo tutti i crismi. Quali sono questi crismi? Presto detto: selezione dei testi (perciò non si dice sì a tutto ma solo a una piccolissima percentuale di dattiloscritti ricevuti), editing accurato – che si deve sviluppare almeno su due aspetti: il primo grammaticale e formale, il secondo strutturale – e, se possibile, effettuato assieme all’autore nel pieno rispetto delle intenzioni di questo e del testo che ha prodotto, copertina adeguata – in grafica o in illustrazione, a seconda della possibilità di investimento – che esprima lo spirito del libro, prezzo adeguato (perché nessuno comprerà il libro di un esordiente che consta di 100 pagine e costa 15 euro. Solo Einaudi lo fa, ma Einaudi può permetterselo, forse), rilegatura adeguata, distribuzione adeguata. Circa la distribuzione siamo a una delle note dolenti del mondo editoriale italiano: porta via almeno il 50% del prezzo di copertina, cosa che riduce il guadagno dell’editore e, di conseguenza, ciò che l’editore può riconoscervi come percentuale sul prezzo del venduto (percentuale che dovrebbe aggirarsi tra il 7% e il 12%, ma che quasi sempre i piccoli editori riducono a un sottopagato 5%) e spesso non è efficiente. Bisogna informarsi molto bene, prima di accettare l’eventuale contratto proposto da un editore, in modo particolare se il testo sarà reperibile, dove e come. Un modo per riconoscere un buon piccolo editore da un cattivo piccolo editore è cercando di capire se la distribuzione che offre e la prima tiratura sono sufficienti a superare il numero di famigliari, amici ed eventuali conoscenti dell’autore. Perché se un editore mira a vendere le copie della prima tiratura alla famiglia, agli amici e ai conoscenti dell’autore, fermandosi lì, non va bene, vuol dire che non crede davvero in ciò che avete prodotto. Quindi, editore piccolo sì, talvolta è meglio di quello grande, ma solo a queste condizioni. Un autore cerca la visibilità, senza doversi sbattere a destra e manca per ottenerla mentre l’editore se ne sta in panciolle, una volta terminato di stampare il libro. Alcuni piccoli editori (per non dire quasi tutti) non riescono ad assicurare una visibilità minima all’autore? Meglio evitarli, sempre che il vostro obiettivo non sia un altro, cioè soddisfare il vostro narcisismo, dicendo: ho pubblicato un libro. In questo caso, però, non siete nemmeno scrittori. Perdonatemi la schiettezza!
Reblogged this on Scarabocchi and commented:
Questo preciso decalogo su come scrivere e pubblicare un romanzo di F. Valenza mi trova assolutamente d’accordo.