Anche quest’anno dedicherò alcuni post alla Settimana Santa, riflettendo su alcune tematiche che vengono evidenziate dai Vangeli di questo tempo forte. Iniziamo da un brano che molto mi ha colpito, soprattutto in questa situazione di isolamento e di “alterazione” della normalità che stiamo vivendo.
Nel lungo brano del Vangelo di Matteo (27, 51-54) che si legge in questa Domenica delle Palme, vi è una parte che riferisce quanto accade alla morte di Gesù. Ecco cosa dice il testo:
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Una brevissima riflessione. Questo è un brano di genere apocalittico, cioè mostra le cose come sono a compimento avvenuto, nella piena rivelazione del Regno di Dio. Ci sono varie occasioni, per gli evangelisti, di mostrare come sarà il Regno di Dio compiuto all’interno della narrazione contemporanea ai gesti e alle parole di Gesù. In questo caso, alla morte di Gesù: ecco che il Regno di Dio si fa immediatamente ancora più vicino di quanto già non fosse in precedenza, durante la sua predicazione. I segnali di questa presenza quasi compiuta del Regno di Dio sono:
- il velo del tempio che si squarcia, laddove il significato di questo accadimento è che cade la separazione tra il Divino e l’Umano (il velo del tempio era un muro che divideva la parte più sacra del Tempio dal punto in cui poteva giungere il sacerdote officiante), perché l’Umano si mostra Divino nella Divinità Umana e nell’Umana Divinità di Gesù Cristo; inoltre, si squarcia da cima (cioè dai cieli) a fondo (alla terra), ovverosia in tutte le dimensioni pensabili dall’essere-umano che si rivolge al sacro. Ma è la stessa separazione tra sacro e profano a cadere definitivamente;
- la terra che trema, cioè la stabilità delle certezze su cui poggiamo che viene meno, perché è arrivato il momento di porre in discussione tutto ciò che si riteneva per fermo;
- le rocce che si spezzano, a maggior conferma di quanto detto, perché ciò che è ritenuto “duro” per antonomasia si spezza di fronte alla morte del Figlio di Dio;
- i sepolcri che si aprono e i corpi di santi morti che risuscitano, laddove si comprendono due cose: 1) esistevano santi anche prima della Chiesa, 2) vi è una concordanza tra la resurrezione dei morti e la Resurrezione di Gesù. Questi morti resuscitano perché Gesù resuscita. A livello di narrazione, il momento della Resurrezione di Cristo è successivo di tre giorni alla sua morte, ma al di fuori della dimensione spaziotemporale che ci caratterizza, tale Risurrezione è già avvenuta, ed è in virtù di essa che i morti resuscitano. Inoltre, tale resurrezione è talmente concreta, che i vivi li vedono.
- Il grande timore che prende il centurione e chi faceva la guardia a Gesù è, infine, la disposizione-reazione necessaria dell’essere-umano affinché si possa aprire la dimensione della fede: non che la fede nasca dal “timore”, ma il timore è la spia che segnala che l’essere-umano si è disposto in modo diverso nei confronti di ciò che provoca timore. Cosa, perciò, provoca il timore in questa situazione? La manifestazione del Divino tramite i segni che abbiamo appena elencato: tale manifestazione del Divino porta nell’essere-umano la sensazione del timore. Rudolf Otto parla di “tremendum”, che è proprio la reazione dell’uomo di fronte alla manifestazione dell’alterità divina.
- “Davvero costui era Figlio di Dio!”: il riconoscimento della divinità non è frutto del timore, ma è un riconoscimento volontario che accompagna il timore. Di fronte al tremendum che il Divino provoca, l’uomo può fuggire o restare, l’uomo può riconoscere o misconoscere, l’uomo può dire di sì oppure no. Non vi è consequenzialità di causa-effetto, ma libertà nel riconoscimento. Una libertà che è sempre frutto del soffio dello Spirito (quello Spirito che Gesù ha restituito al Padre nel momento della morte) e il primo a mostrarne gli effetti è… un pagano. Un centurione. Uno che si immaginerebbe lontano da Dio o, per lo meno, da quel Dio di cui parlavano gli Ebrei e Gesù stesso, lo riconosce invece in tutta la sua divinità. E non per timore, ma per volontario riconoscimento. Questa è la fede!
Ed eccoci, perciò, all’aspetto per me più importante di questo brevissimo brano: esso ci dice che noi siamo già in questo tempo. Pur essendo parole apocalittiche (che sono – ci è stato insegnato a scuola – un genere letterario che si riferisce al compimento definitivo e che, perciò, non sono da prendere alla lettera, come se davvero i morti fossero usciti dai loro sepolcri, ma nel senso più profondo, cioè come realizzazione della Resurrezione già avvenuta per tutti), esse si riferiscono all’oggi del tempo di Gesù come al nostro oggi. Noi, dopo la morte e Resurrezione di Cristo, siamo già in questo tempo nel quale ogni divisione tra sacro e profano, tra Divino e Umano è caduta; noi siamo già nel tempo in cui ogni stabilità è caduta e abbiamo bisogno di ancorarci a ciò che è solido per sempre, ovvero la Presenza Reale del Regno di Dio; noi siamo già nel tempo in cui i sepolcri sono aperti e i corpi dei santi camminano tra noi: si chiama comunione dei santi (e nel mio piccolo – ma credo che ciò sia capitato a molti di voi – la vivo già in modo molto consapevole e forte da quando mia madre è tornata al Creatore, ma non solo).