L’elfo e il delitto di Fabio Larcher

Oggi ospito uno scrittore (e ottimo ex-editore), Fabio Larcher, con una breve introduzione al suo ultimo romanzo, Un delitto al rosmarino, pubblicato per i tipi di A.Car Edizioni.

Inoltre, gli ho chiesto di presentarmi una sua lista di letture imprescindibili per la scrittura. A lui la parola.

17619218_1502011919833762_551862594_nNessuno sa davvero come (o da dove, o perché) nascano le storie, in special modo quelle che scrive. Per questo un autore non dovrebbe mai parlare delle proprie opere. Un autore è come un naufrago nel cuore di quell’oceano che è la mente: dal punto di vista in cui si trova non può avere parametri di riferimento per calcolare la propria latitudine e longitudine; non riesce a vedere se si trova più vicino a un atollo, a un’isola, a un continente, oppure al nulla equoreo. Nel presentarvi il personaggio che ho creato (Wylo Helig) e la sua prima avventura (“Un delitto al rosmarino”), dunque, vi prego di tener presente tale limitazione.
Wylo Helig è un elfo. Un elfo altolocato. Vive nella Londra vittoriana, perché è stato esiliato nel nostro mondo da un rivale (Gwyn Gwisgo). E’ un personaggio sopra le righe, incastrato a forza in un contesto ingessato, iper moralista e, allo stesso tempo, pieno di luoghi comuni positivisti. Questa circostanza fa risaltare ancor più la sua villania, il suo cinismo, la sua libidine, la sua crudeltà, la sua “alterità” rispetto all’“umano”.
Per passare il tempo, questo elfo, oltre a procurare scherzi infausti a tutto il suo prossimo, a sedurre tutte le donne, ad angustiare con la propria esistenza ogni persona che abbia la sventura di incrociare i suoi passi fatati, si dedica alla risoluzione di casi d’omicidio.
Non è un caso, in realtà (se mi consentite il bisticcio).
Ma, per spiegarvi il “perché” non sia un caso, devo tornare al punto di partenza: come nascono le storie, dove e perché, nella mente di uno scrittore?
La risposta potrebbe essere facile: nascono da altre letture.
Certo. Questo è verissimo. Le storie nascono sempre da altre storie (non dalla “vita”, se per vita intendiamo la quotidianità fisica nella quale siamo immersi ed entro cui facciamo esperienza). Esse gemmano da un ramo precedente, come succede nel mondo vegetale…
Ma anche tale affermazione e tale accostamento “ecologista” non sono esaustivi, come potrebbe sembrare. Il paragone con l’albero ci rimanda, infatti, immancabilmente, al mondo ctonio, primordiale e impersonale che, come la struttura di un condominio, ci accomuna tutti, in quanto appartamenti di quello stesso ideale edificio.

Le menti sono come cattedrali,
strutturalmente uguali,
ma ognuna decorata a modo proprio…

Perciò è vero: Wylo Helig nasce dalle mie passioni letterarie:
1) Arthur Conan Doyle e le sue storie di Sherlock Holmes o sul dottor Challenger;
2) Susanna Clarke e il suo “Jonathan Strange & il signor Norrell”;
3) Robert Louis Stevenson e i suoi “Dottor Jekyll & Mr. Hyde”, “L’isola del tesoro”, “Il ragazzo rapito” e “Il master di Ballantrae”;
4) Le fiabe del folklore inglese e irlandese; Robert Kirk e il suo “Il cappellano delle fate”;
5) I miti celtici (ovvero quel che ne è rimasto);
6) L’antropologia di James Frazer;
7) Il formalismo di Propp;
8) JRR Tolkien e il suo “Lo hobbit”;
9) Vari volumi di esoterismo;
10) Oscar Wilde, William Morris, Wilkie Collins, Rudyard Kipling, Lewis Carroll, e tanti tanti altri, che ora non mi vengono in mente.

Sono colpevole, lo ammetto!
Ma, riguardando meglio l’elenco che ho scritto, sono costretto a rilevare (e a farlo notare anche a voi), che si tratta, per lo più di testi che hanno a che fare, in qualche modo, con la sfera “religiosa”. In misura diversa, con finalità diverse, ovvio, e con mascheramenti più o meno evidenti.

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Il punto, però, è proprio questo: Wylo Helig è un elfo.
Oggi si è persa la nozione di cosa sia un elfo (o, meglio, un “essere fatato”, giacché “elfo” è un prestito della mitologia germanica e io lo uso per definire una fata di genere maschile, in mancanza di termini più pertinenti). Fino almeno al XVIII secolo (e al citato Robert Kirk, autore de “Il cappellano delle fate”), anche se io credo, ben oltre quel periodo e a dispetto delle stratificazioni culturali e letterarie, le fate erano avvertite come creature pericolose, verso le quali si operavano scongiuri e gesti apotropaici (gli irlandesi e gli scozzesi le definivano “il buon popolo”, a mo’ di captatio benevolentiae, proprio per non incorrere nel loro rancore mortale). Alcune teorie le mettevano in connessione diretta con gli spiriti dei defunti; oppure riconoscevano loro una natura “intermedia”, tra l’uomo e l’angelo, una natura “demonica”.
Giratela come vi pare, ma la tradizione pone le fate in relazione diretta con la morte. Il loro regno è un mondo simile all’aldilà.
Io non sono un antropologo, ma un semplice scrittore di storie fantastiche. Mi sento perciò scusato, se ho osato trarre deduzioni e conclusioni arbitrarie. Wylo Helig si occupa di casi di omicidio perché questa è la ripetizione, in terra, del suo ufficio nel Regno Fatato: occuparsi dei morti; trarre dalla morte la propria vitalità.
Wylo Helig è, dunque, una sorta di divinità minore dai tratti pagani. Ciò spiega anche la sua “alterità”, la sua disumanità. Egli appare malvagio, crudele, folle, triviale… ma solo all’interno di un sistema di valori e di giudizio “umani”. In realtà egli è un essere sacro. E, si sa, uno degli aspetti più evidenti del sacro è proprio la “violenza”. E “violento”, all’uomo, appare tutto quello che eccede i propri vincoli, divieti e tabù tribali (la morale).
Vi ho spiegato (dal mio punto di vista autoriale che, ripeto, potrebbe essere del tutto sbagliato: l’autore non sa davvero quello che sta facendo; è solo un veicolo delle Muse) come è nato il mio personaggio.
Non vi dirò nulla sulla sua prima avventura, “Un delitto al rosmarino” (a cui faranno seguito almeno altre tre storie, forse quattro). E’ una narrazione d’indagine, mescolata al fantasy, al weird e all’umorismo. I palati più fini non hanno apprezzato certe “grossolanità” da barzelletta triviale. Non posso farne loro una colpa; ma nemmeno potevo evitarle: il mondo di Wylo è così: eccedente la norma e la buona creanza che tutti ci rende civili. Ma starà a voi scoprire, se vorrete, la trama del breve romanzo.

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Mi preme concludere, invece, con una considerazione più generale. E’ mia convinzione che non solo “Un delitto al rosmarino”, ma tutta la letteratura, fantastica o verista sia una diretta discendente della religione. Le prime forme di letteratura sono sempre “religiose” e hanno un unico tema: la morte, l’aldilà.
Ebbene, vorrei che rifletteste: secondo voi la letteratura si è mai mossa da questo punto iniziale?
Penso di no. Penso che essa abbia continuato a rimanere proprio lì, mascherandosi per poter parlare a generazioni diverse, a culture diverse, continuando a dire ciò che aveva da dire: la morte è ciò che più ci spaventa, che più condiziona la nostra vita, che più ci costringe a porci domande su eventuali “continuazioni”, sul “dopo”. Ogni libro è un viaggio sciamanico a cavallo del lupo grigio, e descrive l’odissea cognitiva di tutti gli esseri umani. La letteratura ci dice che, togliendo il fatto religioso dalla nostra vita, eviriamo la nostra mente, rendiamo noi stessi esseri dimidiati, in balia di forze che non siamo più capaci di comprendere.
Se un libro (per quanto breve) non contiene l’universo e anche l’anti-universo (l’aldilà) e se non parla di Dio (la vita) e della morte, non ha alcuna ragion d’essere.


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