Ho qualcosa da dire circa le recensioni dei romanzi. Nell’arco della mia carriera di scrittore ho avuto l’occasione di confrontarmi, scontrarmi e misurarmi con lettori di tutti i tipi. Il mondo della lettura è vasto nelle tipologie di fauna che esso presenta: trovi il lettore pignolo che guarda al romanzo in sé e trovi il lettore leggero che vuole divertirsi; trovi quello che pensa di essere egli stesso uno scrittore e quello che sa stare al di qua dello steccato (ebbene sì, c’è uno steccato: quello di chi sa riconoscere il proprio posto, scusate la franchezza).
Tuttavia, credo che ultimamente ci siano alcuni problemi di fondo, al riguardo.
Personalmente, non ho mai ritenuto il mio commento a una lettura – piaciuta o meno – una recensione. La recensione è un fatto tecnico, il prodotto di uno studio minimo circa la letteratura, i generi e il mondo degli scrittori. Io conosco la letteratura, conosco i generi e conosco il mondo degli scrittori. Tuttavia, mi manca un aspetto che credo sia fondamentale per poter dire che trattasi di recensione anziché di puro commento personale: la professionalità specifica. Esiste un mondo di critici letterari, quelli veri, quelli che lo fanno per professione. In quale modo potrei pensare di sostituirmi a essi?
Eppure, complici social network come aNobii, Goodreads o altri o addirittura la pura esistenza di internet, il semplice lettore (magari nemmeno troppo colto e preparato) si trasforma in critico letterario, con la prosopopea di considerarsi tale e di poter insegnare a uno scrittore come fare il suo mestiere. Si tratta di una errata focalizzazione sulle proprie capacità, di una supponenza circa il lavoro degli altri. È una automistificazione nella quale il lettore stesso risulta spesso carnefice di se stesso e degli scrittori. Per fare una critica seria e produrre una recensione adeguata ci vuole studio e professionalità. Occorre essere scrittori, sebbene in un senso diverso da quello della narrazione fittizia.
Vediamo in che modo il parere di un lettore normale può trasformarsi nella recensione di un sedicente critico:
Lettore normale – Il romanzo mi è piaciuto perché si legge che è una meraviglia, con quelle immagini vivide e i personaggi che sembrano reali. Mi ha fatto tornare in mente certe estati vissute nella mia adolescenza, e questo credo sia il merito più grande di un romanzo. L’unica cosa che non ho apprezzato è che in certi momenti la storia diventa un po’ noiosa. Ma si tratta solo di poca cosa.
Lettore auto-mistificante (sedicente critico) – Non ho ben capito dove volesse arrivare l’autore di questo che vorrebbe essere un romanzo mainstream ma che, in più di un punto, scade in ben altro genere! Lo scrittore possiede certamente l’uso della lingua e la lettura procede liscia per la maggior parte della narrazione. Riesce a rendere bene le azioni dei protagonisti attraverso lo show-don’t-tell e le descrizioni soffrono di un leggero infodump, sebbene siano per lo più adeguate. Tuttavia, in certi casi il comportamento dei personaggi è inspiegabilmente adolescenziale, mentre forse avrebbero dovuto comportarsi più da uomini, da adulti! Inoltre, in certi casi l’autore fa di tutto per tenere distante il lettore, con certi brani scritti come i romanzi dell’Ottocento, troppo descrittivi, troppo lenti. Siamo nel Duemila, signori!!! Forse alcuni si dovrebbero leggere alcuni manuali di scrittura, specie anglosassoni, prima di imbarcarsi nell’impresa della scrittura.
Ecco, credo di aver ben reso l’idea. Il mondo dei forum, dei social network e dei blogger italiani è stracolmo di simili metastasi letterarie. Chiamateli commenti, gente. COMMENTI PERSONALI!!! L’umiltà personale è sempre il miglior approccio a ogni cosa. Soprattutto, aiuta a rendersi conto di cosa si è veramente.
Credo di poter dire ancora dell’altro, ma rinvio al successivo post. Prossimamente.
Amen.
Posso aggiungere che questo principio vale un po’ per tutto? Notato che siamo diventati, oltre che tutti scrittori, tutti medici, tutti fisici nucleari, tutti sociologi psicologi filosofi?
Questo non deve diventare un motivo per censurare o auto-censurarsi, ma per riflettere un poco di più, prima di scrivere, sulle proprie competenze nell’argomento di cui si parla.