The Visit – M. Night Shyamalan

the-visit1Ieri sera ho visto l’ultimo film del bravissimo M. Night Shyamalan, The Visit. A dispetto dei nugoli di bambini e bambine presenti nelle file attorno al mio posto – che vociavano e si scambiavano messaggi con gli smartphone come se fosse l’ultimo giorno digitalizzato del mondo – sono riuscito a vederlo fino alla fine.

Shyamalan ci ha abituati ad alti e bassi, purtroppo, e The Visit è attraversato da un basso continuo.

La storia era potenzialmente ottima: il continuo riferimento alle favole, elemento che permetteva di creare profondità di aspettativa; i due nonnini dai quali i due ragazzini si recano, ottimamente caratterizzati; l’ambientazione, perfetta. Purtroppo, però, le pecche sono maggiori dei lati positivi.

Potrebbero esserci degli spoiler, perciò – se preferite – evitate di leggere da qui in avanti.

I luoghi comuni dell’horror: ci sono tutti, nessuno escluso. La cantina e le scale che scendono; le porte chiuse; i rumori sospetti e sinistri; gli spaventi improvvisi. Di per sé non è male che vi siano luoghi comuni: ma se non vengono riproposti con una chiave di lettura originale, diventano noiosi e prevedibili.

L’assunto di fondo che dà la chiave interpretativa del film, infatti, è forse la parte peggiore di tutto. Sappiamo bene come i film di Shyamalan si reggano sull’intelligenza di una rivelazione che, nel momento in cui accade, conferisce il senso a tutto ciò che è capitato prima. Eccezionali le trovate di Il sesto senso, Signs e Lady in the Water, decisamente meno in questo film: infatti, quando si viene a conoscenza della chiave interpretativa, tutto crolla, tutto si perde, la tensione cala definitivamente e, oserei dire, in modo irrimediabile. E forse, proprio l’aspetto relativo alla tensione è quello che più mi ha deluso: in film come quelli già citati o il meraviglioso E venne il giorno, la tensione è magistralmente orchestrata, quasi da poter dire che il film si basa unicamente su di essa. Qui, invece, la tensione è debolmente presente. Di volta in volta viene distrutta dalle trovate dello stesso Shyamalan, che sembra volerci tranquillizzare di continuo. Fin troppo.

Ora, può darsi che quando lo rivedrò nel chiuso della mia sala, senza bambini vocianti e francamente maleducati riesca ad apprezzare qualche scena in più, ma se si va al di là della bella scena in cui la nonnina chiede alla nipote di pulire il forno e all’intervista che il nipote fa alla sorella, durante la quale la camera zumma verso un infinito sfocato alle sue spalle, o se non si è in grado di cogliere i bei riferimenti ad Hänsel e Gretel o a Il colore venuto dallo spazio, di Lovecraft, temo che quasi tutti rimarranno delusi, il sottoscritto anche una seconda volta.


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