La meta dello scrittore

startstopCredo sia un’esperienza di chiunque si metta a scrivere con una certa serietà quella di vivere momenti di bassa e momenti di alta, in una giostra di pessimismo e ottimismo che ha a che fare direttamente con l’autostima (spesso vissuta come “disistima”).

Ottimismo e pessimismo fanno parte dei cicli circadiani di ogni essere umano, e gli specialisti dicono che al risveglio prevalga il pessimismo, ma che nell’arco della mattinata si lotti per virare verso l’ottimismo fino a raggiungere il massimo verso mezzogiorno-l’una, per poi scendere di nuovo attorno alle quattro del pomeriggio e salire verso la fine del pomeriggio, e cadere in nottata, fino alle quattro del mattino, ora in cui molti si svegliano e non riescono a riaddormentarsi pensando a ciò che nella loro vita non va.

Come dicevo, pessimismo e ottimismo hanno un ruolo fondamentale anche nella vita di uno scrittore e nella sua carriera. La convinzione diffusa che essere pessimisti voglia dire vedere la realtà per come è effettivamente, risente di un pregiudizio nei confronti dell’ottimismo, che di certo ci spinge a sognare ma anche a osare (per non parlare di tutti gli altri aspetti positivi dell’essere ottimisti). Essere pessimisti generalmente ci spinge all’inattività. Però… di certo torna utile, soprattutto allo scrittore, perché permette una concretezza e una profondità di sguardo sulla condizione umana che ci circonda che forse l’ottimismo sorvolerebbe beatamente.

Cosa deve fare, perciò, uno scrittore, essere pessimista? No di certo! Dev’esserci sempre il tentativo di guardare con ottimismo al presente, al futuro e a se stessi. Lo scrittore dovrebbe sviluppare un tale distacco da se stesso, da poter usare le proprie fasi pessimistiche, così come quelle ottimistiche. Per scrivere i miei horror, mi sono reso conto di aver fatto leva soprattutto sul mio lato pessimista (talvolta favorendolo, cosa molto rischiosa, ma per lo più favorito dai miei eventi negativi degli ultimi anni), mentre per scrivere il fantasy facevo leva sul mio innato ottimismo.

È una questione di equilibrio e di pensiero consapevole a questo equilibrio. Se volete, il ragionamento trascende la scrittura in sé e riguarda la vita di ogni persona, ma per lo scrittore certe dinamiche devono essere massimamente consapevolizzate, in modo da poterle sfruttare per la propria arte.

Proseguendo con il ragionamento, però, e sforando leggermente dal campo della scrittura in sé per andare su quello umano, lastricato di buche e di prati fioriti, ottimismo e pessimismo giocano un ruolo fondamentale circa le mete che ci prefiggiamo. Io posso anche essere lo scrittore più dotato di talento, ma se non ho la giusta consapevolezza del mio livello tecnico e dell’opportunità delle mie scelte non arriverò mai a concludere qualcosa di efficace sul piano editoriale. In questo caso il pessimismo gioca un ruolo fondamentale, perché mi mette di fronte agli occhi i limiti insiti nel mio modo di lavorare e nella mia esperienza umana. Certo, non si può rimanere fermi a questo livello. Subito dopo deve arrivare una sferzata di ottimismo a dirmi che quei limiti posso superarli, per riuscire a trasformare sia la mia persona che il mio prodotto.

Se vissuto all’estremo, anche l’ottimismo è dannoso. Non mi renderà capace di comprendere se sto mirando troppo in alto, come spesso accade. Quante volte chi inizia a pubblicare crede che gli arriverà nel giro di poco tempo un contratto con un grande editore perché “se lo merita”? Troppo spesso, e troppo spesso la caduta nel pessimismo successivo è fin troppo violenta, rischiando di mettere in seria e mortifera discussione le sorti del giovin scrittore.

Meglio tentare di far sempre dialogare pessimismo e ottimismo, allora, attraverso un continuo esercizio intimo. Per uno scrittore è questione di mete.


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