Continuo con le mie riflessioni sull’uso dei regionalismi nella narrativa fantastica, o nella narrativa tout court. Riporto qui alcuni commenti al post precedente.
Parte della responsabilità di un appiattimento lessicale delle narrazioni è degli autori. Come ho già detto altre volte, non c’è sufficiente consapevolezza degli strumenti a propria disposizione per tentare qualcosa di più coraggioso, anche dal punto di vista terminologico. Non solo parole che ormai stanno cadendo in disuso, ma lemmi che hanno un sapore prettamente particolare, locale, e che in quanto tali possono conferire un colore e un sapore unici alla storia.
Uno scrittore è il primo attore della propria scrittura. Tutto ciò che fa è importante per se stesso e per il mercato. Se un autore guarda al mercato, purtroppo non c’è qualità che tenga, perché sarà sempre dettata dalle esigenze di mercato. Detto molto sinceramente, io non ho mai pensato alla scrittura in questa prospettiva. Fatico perfino a chiamare scrittore chi preferisce appiattire il proprio stile e la propria voce al mercato (e a farlo sono in molti, ahimè).
Forse la domanda da porsi sarebbe: esiste scrittura – scrittura valida e che lasci il segno – senza pubblicazione tradizionale? Io sono convinto di sì. Chi si sottopone totalmente al mercato preferendo non esporsi, evidentemente la pensa in modo diverso. Non sto dicendo che non lo si debba fare mai, ma, per capirci, è come produrre mobili. C’è il mobile dell’Ikea, che vende tanto ma la cui qualità risiede nella ripetizione appetibile, e poi c’è il mobile artigianale, magari pezzo unico o prodotto in poche copie, ambito nel quale in Italia si eccelle. Dove sta la qualità? Io non ho dubbi. Certo è che se l’intenzione del produttore è quella di sfondare il mercato o di vendere molti pezzi, difficile sarà farlo con un mobile d’arte; più facile con lo stile Ikea.
Un autore che si adatta per non correre rischi, semplicemente non è un autore. È qualcosa d’altro, per esempio un compilatore. La prima cosa che uno scrittore deve fare è combattere contro l’appiattimento culturale e lessicale, ma anche qui, se il principale obiettivo è quello di vendere… si entra in un conflitto d’interessi dal quale la qualità ne uscirà troppo spesso calpestata.
Un’ultima riflessione, che aggiungo qui: una delle conseguenze dello scrivere sull’onda dei successi esteri è di non poter lasciar correre liberamente l’originalità italiana, ovunque essa risieda. Se si vuole fare successo approfittando dell’ondata di successo di certi generi o tematiche (vedi, attualmente, le sirene), bisognerà perdere ogni caratteristica nostrana per abbracciare il format che rende altamente vendibile il prodotto. Dio mi scampi dall’appiattimento sull’onda del successo!
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