Quest’anno voglio ricordare l’olocausto degli Ebrei facendo appello a ciò che accadde al compositore che tra tutti preferisco. Parlo di Gustav Mahler, nato nel 1860 e morto nel 1911. Nato ebreo, si convertì al cattolicesimo al quale si sentiva comunque affine essendo sempre cresciuto in un contesto cattolico. Mahler è il più grande sinfonista dopo Beethoven. Egli prese la forma sinfonica rinnovata e modellata da Beethoven e la trasformò a sua volta, facendola giungere ai massimi livelli espressivi dell’animo e della condizione umana. Ne sviluppò il concetto facendola divenire la pura espressione di una creatura che pur essendo sempre immersa nell’inferno e nella bellezza del creato, agogna all’eterno cui è destinata. Le sue sinfonie si espandevano fino a contenere sei movimenti, fino a inventare strumenti pur di esprimere ciò che era necessario esprimere, tanto da portarlo a rielaborare nelle sue direzioni d’orchestra (Mahler fu il più grande direttore d’orchestra del suo tempo) le sinfonie del genio musicale cui si ispirava, presente in Beethoven e Wagner. I compositori gli affidavano le loro opere appena create, così Tchaikovskj, così Bruckner, così Strauss, così Leoncavallo, e colpiva l’immaginazione con le sue innovazioni sceniche, strumentali e con i suoi tempi sempre troppo accelerati per i critici dell’epoca. La sua carriera di compositore fu deprimente, perché quasi nessuno era in grado di comprendere ciò che scriveva. La sua musica non sarebbe stata compresa che dagli anni Sessanta del Novecento in poi, descrivendo perfettamente il mondo a noi contemporaneo. Era un uomo avanti, un uomo del futuro caduto in un passato dalla mente e dalle vedute troppo ristrette, capace di aprirsi alla lingua di Dio in sprazzi di incredibile ed eterna calma sovrumana, in grado di cogliere le virgole più sottili delle evoluzioni umane.
Circolava per l’Europa la convinzione superstiziosa che i compositori non riuscissero a sopravvivere alla loro nona sinfonia, dopo che Beethoven e altri erano morti abbozzanti la decima sinfonia. Lui, per evitare e aggirare il fato decise di dare un altro nome alla sua Nona Sinfonia, e la chiamò semplicemente Canto della Terra (Das Lied von der Erde), dopodiché si accinse a scrivere la Nona. Sicuro del fatto suo, dell’averla avuta vinta sulla morte, iniziò a comporre la Decima quando morì.
Circolava per l’Europa anche un’altra convinzione superstiziosa, questa volta ben più dannosa e pericolosa. Mahler era un Ebreo e come tale non sapeva provare i veri sentimenti di umanità che contraddistinguono gli esseri umani. Era un direttore cattivo, che tiranneggiava gli orchestrali e la critica non fece altro che dargli contro. Non potendo criticare le sue doti enormi di direzione, che era quasi sempre perfetta, e non capendo ciò che egli stesso componeva (lui vivente, furono davvero pochi coloro che compresero, tra questi il grande Bruno Walter, di cui mi glorio di avere una sua registrazione del Canto della Terra), l’unica via di sfogo fu quella dell’antisemitismo. All’epoca – parliamo della fine dell’Ottocento – dilagava alla grande per le corti più raffinate del Vecchio Continente. Numerosi giornali davano già voce alla purezza ariana e al fatto che solo un vero ariano potesse dirigere in modo ineccepibile l’ariana musica di Beethoven (con buona pace del compositore di Bonn che si rigirava in continuazione nella tomba). Arrivavano lettere anonime per criticare l’ebreo che osava stravolgere la musica tedesca e di teatro in teatro gli resero la vita difficile, fino a quando non decise di andarsene negli Stati Uniti per gli ultimi anni della sua vita.
Vedete, Hitler era ben lontano dal giungere. Il Nazismo non si sapeva nemmeno cosa fosse. Non c’erano SS e nemmeno leggi raziali. Ma Gustav Mahler uno dei più grandi compositori dell’Ottocento e il più grande del Novecento è stato vittima esattamente della stessa follia che ha tenuto sotto scacco l’Europa per secoli interi, e in special modo nei primi quarant’anni del Secolo Breve. Perché la follia – non una follia tout court, semplice, ignara di se stessa, ma quella lucida e riflessa, quella che fa sua l’ideologia e la meccanica e che decide di sterminare ciò che da lei è ritenuta follia – affonda le sue radici nel passato, in un passato spesso insospettabile, in un luogo che dai più che lo vivono come contemporanei dicono essere in fin dei conti segnato da episodi sporadici. All’epoca di Mahler nessuno osava tirare le trecce agli ebrei ortodossi e nemmeno sputargli addosso o chiuderli in campi di concentramento. Nessuno, forse, poteva nemmeno immaginare che una simile cosa potesse succedere e che si trovasse il modo di sequestrare, dividere, tosare, gasare, animalizzare, schiavizzare e sterminare sei milioni di Ebrei.
Per il solo fatto di… non essere come gli altri nelle fantasie perverse dei veri pazzi. Tutto questo, però, era come se Mahler l’avesse già capito e la sua musica sempre in lotta con la tragicità più difficile da digerire lo dimostra.