Nell’introduzione al breve Unico indizio la luna piena, edizione Longanesi, Stephen King ci fornisce una delle sue innumerevoli perle di vita vissuta da scrittore, colma di semplicità e umiltà (sotto questo aspetto vi consiglio vivamente di leggere sempre le introduzioni di King ai suoi romanzi: sono scuole per gli apprendisti scrittori e veri e propri racconti pre-romanzeschi). Leggete un po’! Siamo nel 1979.
Prima di quello di Providence (World Fantasy Convention), ero andato a un solo altro convegno del genere, e mi sentivo intimorito e colpevole. Dopotutto, mi trovavo gomito a gomito con scrittori che da ragazzino idolatravo, scrittori che mi avevano insegnato molto di quel che sapevo del mestiere: tipi come Robert Bloch, autore di Psycho, Fritz Leiber, autore di Ombre del male e Neri araldi della notte, Frank Belknap Long, autore di I segugi di Tindalos. […]
Si può quindi comprendere il mio sbigottimento. E credo sia chiaro anche il motivo del mio senso di colpa: Frank Belknap Long era venuto al convegno da New York in corriera, perché a ottantadue anni non poteva permettersi il biglietto del treno, per non parlare di quello dell’aereo. Bob Bloch e Fritz Leiber stanno bene – […] – ma né loro né tanti altri scrittori che veneravo avevano goduto, in tutta la vita, del successo arriso al mio primo romanzo, Carrie. Non che io fossi uno scrittore più bravo; ero solo arrivato al momento giusto per giovarmi dell’ondata di interesse popolare per questo tipo di racconti, che dalla fine degli anni ’70 sono sempre ai primi posti sulla lista dei best-seller. Loro invece avevano lavorato a lungo e con onore nella giungla delle riviste dozzinali; vent’anni dopo la chiusura di Weird Tales, ero arrivato fresco fresco a mietere il ricco raccolto che erano stati loro a seminare in quella giungla.
Pazzesco, vero? E pensare che lì, per lo meno, questa era gente conosciuta e di cui parlavano. Qualcuno di voi ha letto su qualche giornale a tiratura nazionale un articolo sulla morte di Lino Aldani o Vittorio Curtoni?